«Facciamo attenzione gli uni agli altri per incitarci all’amore e alle buone opere» Ebrei 10:24
Caino, per non rispondere alla domanda di Dio che gli chiedeva conto cosa avesse fatto a suo fratello Abele, arrogantemente e sprezzantemente disse: «Sono forse il guardiano di mio fratello?» (Genesi 4:9).
Il ruolo che egli rifiutò di assumere è precisamente quello che ciascuno di noi deve svolgere e che è espresso nel testo di Ebrei 10:24: fare attenzione gli uni agli altri.
Cosa significa e come possiamo farlo?
“Fare attenzione” è la traduzione di katanoeo che può significare considerare, studiare, scrutare scrupolosamente. Si tratta di un verbo che lo scrittore aveva già usato per indirizzare la mente e i sentimenti dei credenti a Cristo (Eb. 3:1; cfr. anche 7:4; 12;3 dove il verbo è diverso, anche se sinonimo) e che adesso utilizza per dirigere gli sguardi di ogni credente verso l’immagine più prossima di Cristo che ciascuno di noi può avere: i fratelli.
Quindi, questa è un’esortazione a considerare diligentemente, osservare, studiare” i nostri fratelli, i membri della famiglia di Cristo che fanno parte della nostra comunità locale. Ovviamente non si tratta di “attività investigativa”, ma di slancio d’interesse, di partecipazione alla vita altrui in senso positivo, un impegno a comprendere a immedesimarsi a simpatizzare (soffrire insieme).
Ciò presuppone primariamente: Un’identificazione chiara e netta delle persone a cui interessarci in modo particolare. È un’attività che richiede dispendio di energia (tempo, emotiva, in certi casi denaro) e deve necessariamente essere limitata a coloro che, nella provvidenza di Dio, si identificano con noi, amano e scelgono di stare con noi e che noi amiamo e scegliamo. È una disposizione d’animo che richiede l’esercizio della pazienza nei confronti di chi la pensa diversamente da noi e il rifiuto di serbare rancore verso chi ci arreca delle offese. Inoltre necessita della disponibilità reciproca alla rinuncia alla riservatezza e a una grande sincerità e prontezza nel perdonare e accogliere il nostro prossimo.
Tutto ciò comporta la perseveranza nell’amore autentico, l’abbandono delle piccole (come delle grandi) vendette e una disponibilità a sorridere, oltre che pregare e parlare e agire sulle debolezze e i peccati altrui (nei nostri confronti) e, infine: promuovere ciò che favorisce la realizzazione di tale impegno (amicizia ristretta, riunioni frequenti, incontri in piccoli gruppi, attività congiunte ecclesiali e non…).
Noi siamo i guardiani gli uni degli altri. Anche se viviamo distanti e se, in questo tempo, abbiamo grandi difficoltà a vivere gli aspetti più intimi della comunione cristiana non dimentichiamoci di questo dovere.