Quando si dice che una certa persona è “ambiziosa”, in genere, non lo si fa per porla come esempio di alta moralità. Se le si vuole fare un complimento le si riconosce determinazione, chiarezza di vedute, energia nel perseguire e realizzare i propri piani. Tuttavia, siamo abituati ad associare l’ambizione all’arrivismo, alla spregiudicatezza, all’amore del denaro, del potere e all’assenza di qualunque etica, rispetto e misericordia verso i deboli e gli svantaggiati.
L’ambizioso, secondo questo modo di vedere, lo si vede come uno che cammina sulle teste altrui. In un mondo che lascia sopravvivere solo il più adatto, chi prepara le nuove generazioni a occupare posti di comando, le deve addestrare ad affilare le unghie e i denti.
Diversamente, di solito si associa l’umiltà e la mansuetudine a un atteggiamento dimesso, arrendevole, quasi passivo e rassegnato, tutt’altro che combattivo e pugnace.
In questo modo gli ambiziosi sono i primi e gli umili gli ultimi, gli ambiziosi sono i vincenti e gli umili sono sempre i perdenti.
Ma entrambe queste idee sono sbagliate. Perlomeno dal punto di vista biblico sono fuori luogo e inadeguate. La verità è che esiste sia la falsa umiltà sia la sana ambizione.
Nel suo sessantatreesimo proponimento, Jonathan Edwards si occupa proprio di questo, dicendo:
Supponendo che in un determinato momento dovesse esserci un solo vero cristiano completo, giusto in ogni aspetto, che viva un cristianesimo splendente, che brilli di luce vera e sia eccellente e amabile, sempre e in ogni caso, mi propongo d’agire con tutte le mie forze, come se proprio io dovessi essere quell’unico cristiano (14 gennaio e 13 luglio 1723).
Questa è sana ambizione e vera umiltà.
L’ambizione si fissa su un obiettivo e l’umiltà ci insegna quale sia la strada per raggiungerlo.
In questo caso l’obiettivo è quello di conquistare la vetta della piena maturità cristiana, la più completa giustizia che un peccatore possa ottenere su questa terra, una testimonianza splendente, una pietà eccellente, un carattere amabile e tutto questo come qualcosa che viene vissuto e manifestato in ogni circostanza e in ogni momento.
Edwards si riproponeva che se al mondo ci fosse stata un’unica persona con tali caratteristiche, egli avrebbe voluto essere quel tale. Aspirava a essere – nientemeno – che il miglior cristiano al mondo. Questa era la sua ambizione.
Niente mediocrità, niente mezze misure, niente di meno che l’eccellenza perché solo chi ha come obiettivo quello di raggiungere il massimo può sperare di ottenerlo, mentre chi si accontenta di qualsiasi cosa che sia meno della perfezione ne rimarrà sempre molto distante.
Chi pensa che un tale pensiero faccia a pugni con un carattere umile e mansueto, probabilmente non ha compreso cosa siano l’umiltà e la mansuetudine cristiane. Essere umili, infatti, significa aspirare ad avere il carattere di Cristo, che è “mansueto e umile di cuore” e impiegare tutte le proprie forze lottando contro il peccato per raggiungere questo obiettivo.
Che Edwards avesse in mente proprio la mortificazione del peccato e la ricerca della santificazione lo si comprende dai riferimenti cronologici che pose alla fine del suo proponimento. Infatti, nel suo diario, proprio al 14 Gennaio del 1723 scrisse:
Sera. I grandi atti di mortificazione sono come delle ferite profonde inflitte al “corpo del peccato”, sono colpi duri che lo fanno barcollare e vacillare. Facendo così guadagniamo molto terreno e vantaggio contro di esso che ne rimane grandemente indebolito. Così facendo, la volta successiva, sarà più facile sopraffarlo perché perde forza e sarà più semplice farlo cedere, fino al punto che saremo in grado di ucciderlo a piacere. Diversamente, se viviamo senza praticare grandemente la mortificazione e l’abnegazione, il vecchio uomo rimane nella condizione in cui è sempre stato, perché è robusto e ostinato e non si lascerà abbattere dai piccoli colpi. E questa, senza dubbio, è una grande ragione per cui molti cristiani non crescono sensibilmente nella grazia. Quando mi impegno ad attuare le mortificazioni più grandi, trovo sempre il massimo conforto. Ho scritto il sessantatreesimo proponimento. Le piccole cose che i cristiani fanno comunemente non producono una grande crescita nella grazia. Dobbiamo fare grandi cose per Dio. […] Supponendo che in un determinato momento dovesse esserci un solo vero cristiano completo, giusto in ogni aspetto, che viva un cristianesimo splendente, che brilli di luce vera e sia eccellente e amabile, sempre e in ogni caso, mi propongo d’agire con tutte le mie forze, come se proprio io dovessi essere quell’unico cristiano.
Questa ambizione di “fare grandi cose per Dio” fu quella che permise a Edwards di farne davvero tante. Le sue opere e i suoi scritti, infatti, sono davvero eccellenti e immortali.
Ma la sua eccellenza andò perfino oltre!
Edwards fu uno degli strumenti usati da Dio per far sorgere il grande movimento delle missioni moderne e per accendere l’entusiasmo di William Carey, l’autore del sermone che è passato alla storia per la frase: «Aspettati grandi cose da Dio. Tenta grandi cose per Dio».
Un giorno, Charles Spurgeon raccolse le lamentele di un giovane studente della sua scuola per pastori che si lagnava del fatto che il suo ministero non aveva prodotto molti convertiti. Spurgeon gli disse:
– «Giovanotto, ma non vi aspetterete certo che ogni vostra predica produca dei convertiti!»
– «Certo che no!» rispose senza indugio il giovane predicatore. Al ché Spurgeon replicò:
– «Ecco la ragione del vostro scarso frutto!»
Forse Spurgeon ha usato una certa dose di cinica astuzia per insegnare al suo giovane studente che, se proprio vogliamo vedere dei miracoli di conversione, bisogna avere fede e “aspettarsi grandi cose da Dio”, ma questa è una lezione che ogni cristiano deve imparare.
Teniamo alte le nostre aspettative circa le possibilità di Dio e, pensando al nostro progresso, non scegliamo le “mezze misure”, non accontentiamoci di poco. «Siate perfetti, come il padre vostro è perfetto» (Mt. 5:48) ha detto Gesù.
Ovvero, come ci insegna Edwards: impariamo a essere ambiziosi e umili.
Essere cristiani mediocri non è affatto onorevole. Né per Dio né per noi stessi.