Vi sarà capitato di essere insultati da qualcuno… suvvia, vi è capitato di certo!
Sarà stato per strada quando, magari in modo del tutto involontario, avete commesso un’infrazione, non avete dato la precedenza a chi ne aveva il diritto, non avete rispettato il pedone che attraversava sulle strisce, il ciclista che non teneva rigorosamente la destra o l’anziano che vi rallentava. Oppure, in situazioni più imbarazzanti, ci sono state delle persone che, a torto o a ragione, vi hanno coperti di improperi, di parole volgari o, magari, in modo più elegante hanno mantenuto la calma ma con due o tre paroline vi hanno messo al tappeto più velocemente di quanto l’avrebbe fatto un gancio, un diretto o un calcio ben assestato di un campione mondiale di MMA.
Se l’esperienza è comune, la reazione può variare… e varierà a seconda di chi è l’insultato. Di “chi è”, intendo dire, culturalmente e caratterialmente, ma soprattutto, spiritualmente.
Non starò qui a descrivere il modo in cui “i figli delle tenebre” (uno dei modi in cui Gesù definì le persone che non credono in lui) reagiscono in tali occasioni. Sarebbe come alzare un tombino della fognatura.
Mi interessa però farvi notare come reagì il re Davide agli insulti e alle maledizioni pronunciate da un certo Simei (non dovete cercare molto per conoscere questa persona che apparteneva alla casa dell’ex re Saul, di lui si parla nei cap. 16 e 19 di 2 Samuele).
Simei aveva delle ragioni per maledire e insultare Davide?
Si ne aveva!
Ma erano buone e valide per giustificare ciò che gli disse… e in quel modo?
No!
Simei sarebbe morto se Davide avesse autorizzato lo zelante Abisai a fare ciò che questi avrebbe voluto (2 Sa. 16:9), ma il re non gli permise di andare a tagliargli la testa.
Davide sapeva di non essere del tutto scevro da colpe, e che – forse – era stato Dio stesso ad animare Simei (v. 10).
Davide, però, sapeva anche come deve comportarsi un uomo di Dio quando viene insultato e calunniato e scelse, anche in questa occasione, di affidarsi a Dio e di lasciare che fosse lui a giudicare. Sopportò il vituperio, lasciò che Simei parlasse e si sfogasse, e bevve fino all’ultima goccia l’amaro calice della maledizione che gli veniva scagliata, ma – per usare il linguaggio neotestamentario di Pietro – soffrendo “secondo la volontà di Dio”, affidò la propria anima al suo fedele Creatore, facendo il bene (Cfr. 1 Pt. 4:18).
E Davide fece davvero del bene a Simei! Non solo quando impedì che fosse ucciso, ma anche quando, al tempo del suo ritorno a Gerusalemme, Simei, timoroso e oppresso dalla sua cattiva coscienza, gli chiese di poter avere salva la vita (Cfr. 2 Sa. 19:16ss.) e ciò, sebbene sapesse molto bene che da uomo superbo aveva approfittato della sua momentanea debolezza, mentre adesso, da uomo vile, cercava di evitare le conseguenze delle proprie azioni.
Ma, come Davide, i cristiani sono gente dall’animo nobile! Sono capaci di rispondere con pazienza e misericordia anche alle follie e alle vigliaccherie altrui. Così hanno sempre fatto, così fanno e così sempre faranno.
Sanno bene che se le persone come Simei li maledicono e insultano, la loro cattiveria non li coglierà, ma che se c’è qualcosa di vero nelle loro parole e nelle loro motivazioni, la verità sarà usata da Dio per umiliarli, santificarli e purificarli di più perché “la maledizione senza motivo, non raggiunge l’effetto” (Pro. 26:2). Dio disse di Davide quello che Isacco aveva detto di Giacobbe: “Io l’ho benedetto; e benedetto egli sarà” (Ge. 27:33).
Impariamo da Davide e, soprattutto, impariamo da Cristo che “oltraggiato, non rendeva gli oltraggi; soffrendo, non minacciava, ma si rimetteva a colui che giudica giustamente” (1 Pt. 2:23).
Forse dovrete aspettare un po’, ma portate pazienza: alla fine tutto sarà chiarito!