L’eco della guerra in Ucraina e il fragore delle bombe che stanno procurando distruzione e morte giunge fino a noi attraverso molti canali. Il mondo si trova in pericolo di assistere al ripetersi della storia e, sebbene le diplomazie siano all’opera, solo Dio sa se il conflitto si allargherà o se le ostilità cesseranno con un accordo.
Se dovesse scoppiare una nuova guerra mondiale, quale ruolo avrebbero le armi atomiche possedute da entrambi i blocchi che si fronteggerebbero, e che esistono in numero ben più elevato di quelle che basterebbero per distruggere la terra e porre fine alla storia dell’intera umanità?
Viviamo nell’era atomica, e quello che Clive S. Lewis scrisse nel 1948, (l’articolo allegato fu originariamente pubblicato nell’Informed Reading, vol. VI, pp. 78-84, 1948), purtroppo, è tornato ad essere di straordinaria attualità.
In questo articolo, lo scrittore, nelle vesti di giornalista/apologeta cristiano, non parla solo della paura della morte atomica, ma affronta il tema della preservazione della civiltà umana, della innata ricerca di senso, di verità e giustizia, connaturato nell’uomo, dell’irrazionalità della posizione naturalistica e apre molte piste e linee di pensiero con le quali sarà utile confrontarsi.
L’articolo è brutalmente franco e schietto e cerca di discutere a viso aperto con chi esclude l’origine creazionale di tutte le cose e la natura spirituale dell’umanità. Sebbene non sia molto lungo (meno di 2500 parole), è certamente articolato e impegnativo. Varrà la pena che appartiate un buon quarto d’ora per leggerlo e riflettere.
Ovviamente, ogni commento sarà ben accetto.
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Lo posto anche qui di seguito per chi preferisse leggerlo direttamente sul blog.
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VIVERE NELL’ERA ATOMICA di C.S. Lewis
In un certo senso ci preoccupiamo fin troppo della bomba atomica. Alla domanda «Come vivremo nell’era atomica?», sono tentato di rispondere: «Esattamente come avreste vissuto nel sedicesimo secolo, quando un’epidemia di peste colpiva Londra quasi ogni anno, o come avreste vissuto al tempo dei Vichinghi, quando i predoni Scandinavi potevano sbarcare e tagliarvi la gola ogni notte; o addirittura, come state già vivendo in un’epoca di cancro, di sifilide, di paralisi, di incursioni aeree, di incidenti ferroviari, di incidenti automobilistici».
In altre parole, non esageriamo nel considerare la situazione che stiamo vivendo come un’assoluta novità peculiare. Credetemi, signore e signori, voi e tutti i vostri cari siete già stati condannati a morte prima ancora che la bomba atomica fosse inventata: e una percentuale piuttosto alta di noi morirà in modi piuttosto spiacevoli. In effetti rispetto ai nostri antenati, abbiamo un grandissimo vantaggio: gli anestetici; ma tutto il resto, rimane. È assolutamente ridicolo lamentarsi e mettere su il broncio soltanto perché alcuni scienziati hanno descritto un altro modo di morire dolorosamente e forse prematuramente, in un mondo che era già zeppo di simili possibilità e in cui la morte stessa non era affatto una probabilità, ma una certezza.
Questo è il primo punto su cui riflettere, mentre la prima azione da intraprendere è quella di tornare in noi stessi. Se dovremo essere tutti distrutti da una bomba atomica, lasciamo che quella bomba, quando verrà, ci trovi a fare cose sensate e umane: pregare, lavorare, insegnare, leggere, ascoltare musica, fare il bagno ai bambini, giocare a tennis, chiacchierare con i nostri amici davanti a un boccale di birra e a una partita di freccette, e non rannicchiati insieme come pecore spaventate e pensando alle bombe. Quelle cose avranno anche il potere di spezzare i nostri corpi (anche un microbo può farlo), ma non dovremo mai permettere loro di dominare le nostre menti.
Replicherete: «Ma non è la morte, e nemmeno una morte dolorosa e prematura, a preoccuparci! È ovvio che la possibilità che ciò accada non è una novità. La cosa nuova è che la bomba atomica può finalmente e totalmente distruggere la civiltà stessa. Il sipario potrebbe calare per sempre!».
Questo ci porta molto più vicini all’autentico punto della questione e perciò permettetemi di cercare di chiarire quale penso esso sia. Qual era la vostra opinione sul futuro della civiltà prima che la bomba atomica apparisse sulla scena? A cosa pensavate che sarebbe giunto, alla fine, tutto lo sforzo dell’umanità? La vera risposta è nota a quasi tutti coloro che hanno anche solo un’infarinatura scientifica, eppure, stranamente, non viene menzionata quasi mai. E la vera risposta (quasi senza ombra di dubbio) è che, con o senza bombe atomiche, l’intera storia finirà nel NULLA. Gli astronomi non nutrono alcuna speranza che questo pianeta rimarrà stabilmente abitabile. I fisici non nutrono alcuna speranza che la vita organica sia una possibilità permanente in qualsiasi parte dell’universo materiale. Non solo questa terra, ma l’intero spettacolo del cielo, tutti i soli dello spazio, si spegneranno. La natura è una nave che sta affondando. Bergson parla dell’élan vital, e Shaw della “forza vitale” come se queste potessero imporsi per sempre. Ma tutto ciò si ottiene concentrandosi sulla biologia e ignorando le altre scienze. Non c’è davvero alcuna speranza. La natura, nel lungo periodo, non favorisce la vita. Se la Natura è tutto ciò che esiste – in altre parole, se non c’è Dio e nessuna vita di qualche tipo completamente diversa da qualche parte al di fuori della Natura – allora tutte le storie finiranno nello stesso modo: in un universo da cui tutta la vita sarà bandita senza alcuna possibilità di ritorno. Essa non sarà stata altro che uno sfarfallio accidentale e non rimarrà nessuno a ricordarla. Senza dubbio le bombe atomiche possono accorciare la sua durata su questo pianeta, in modo che sia più breve di quanto avrebbe potuto essere; ma tutto quanto, se anche esistesse ancora per miliardi di anni, rimarrebbe sempre così infinitamente breve in relazione agli oceani del tempo che lo precedono e lo seguono, da non potermi permettere di provare alcuna soddisfazione per la sua estensione temporale.
Ciò che le guerre, i mutamenti climatici (stiamo approssimandoci a un’altra di quelle ere glaciali periodiche?) e la bomba atomica hanno davvero fatto, è quello di ricordarci con forza il tipo di mondo in cui stiamo vivendo e che, durante il periodo prospero prima del 1914, stavamo cominciando a dimenticare. E questo promemoria è, per quanto ne so, una buona cosa. Siamo stati svegliati da un bel sogno, e ora possiamo iniziare a parlare di realtà.
Vediamo di colpo (essendo stati svegliati) che la questione importante non è se la bomba atomica cancellerà la “civiltà”, ma se la “Natura” – il tema principale delle scienze – sia l’unica cosa che esiste. Perché se si risponde di sì a questa seconda domanda, porsi la prima equivale solo a chiedere se l’inevitabile frustrazione della fine di tutte le attività umane possa essere affrettata dalla nostra stessa azione invece di giungere al capolinea al suo momento naturale. Naturalmente, si tratta di una questione che ci preoccupa molto. Anche su una nave di cui si sa che, prima o poi affonderà, la notizia che c’è una caldaia che potrebbe esplodere da un momento all’altro non lascerebbe nessuno indifferente. Ma coloro che hanno la consapevolezza che la nave sta affondando in ogni caso, penso, non proveranno la medesima disperazione e paura di coloro che “non ci pensavano affatto e immaginavano vagamente che, invece, si potesse arrivare da qualche parte”.
È quindi sulla seconda questione che dobbiamo veramente prendere una decisione. E iniziamo supponendo che la Natura sia tutto ciò che esiste. Supponiamo che nulla sia mai esistito o mai esisterà se non questo gioco insignificante di atomi nello spazio e nel tempo e che una serie infinitesima di casualità abbia (purtroppo) prodotto cose come noi, esseri coscienti che ora sanno che la propria coscienza è un risultato accidentale dell’intero processo insignificante ed è quindi essa stessa insignificante, anche se per noi (ahimè!) sembra significativo.
In questa situazione ci sono, penso, tre cose che un generico essere umano potrebbe fare:
(1) Potrebbe suicidarsi. La natura che mi ha (ciecamente e accidentalmente) dato per il mio tormento questa coscienza che richiede significato e valore in un universo che non ne offre alcuno, mi ha fortunatamente dato anche i mezzi per liberarmene. Restituisco il regalo sgradito. Non mi farò più ingannare.
(2) Potrebbe decidere semplicemente di divertirsi il più possibile. L’universo è privo di alcun significato, ma visto che siamo qui, prendiamoci tutto quello che possiamo. Purtroppo, però, a queste condizioni, c’è molto poco da afferrare: solo i piaceri sensuali più grossolani. Non si può, se non nel senso animale più basso, essere innamorati di una ragazza se si sa (e si continua a ricordare) che tutte le bellezze sia della sua persona che del suo carattere non sono altro che l’effetto di una momentanea e accidentale collisione di atomi, e che la propria risposta a essi è solo una sorta di fosforescenza psichica derivante dal comportamento dei propri geni. Non si può continuare a ottenere un piacere molto serio dalla musica se si sa e si ricorda che la sua aria di significato è una pura illusione, che ci piace solo perché il nostro sistema nervoso è irrazionalmente condizionato ad apprezzarla. Si può ancora, nel senso più basilare del termine provare a “stare bene”, ma più si starà bene, più si rischierà di spingersi verso il calore delle proprie emozioni, verso l’entusiasmo e la gioia ed ecco che simili sentimenti ci faranno inevitabilmente percepire la disarmonia tra le nostre emozioni e l’universo freddo in cui viviamo.
(3) Poterebbe sfidare l’universo. Potreste dire: «Per quanto questo universo sia irrazionale, io non lo sono. Per quanto sia spietato, io sarò misericordioso. Seppure io sia stato prodotto da un qualche evento del tutto casuale, ora che sono qui vivrò secondo i valori umani. So che alla fine l’universo vincerà, ma a me cosa importa? Andrò a combattere. In mezzo a tutto questo spreco persevererò; in mezzo a tutta questa competizione, farò sacrifici. Che l’universo sia dannato!».
Suppongo che la maggior parte di noi, infatti, pur rimanendo materialisti, adotti un’alternanza più o meno inquieta tra il secondo e il terzo atteggiamento. E anche se il terzo è incomparabilmente migliore (è, per esempio, molto più probabile che così si riesca a “preservare la civiltà”), entrambi sono destinati a fare naufragio sulla stessa roccia. Quella roccia – la disarmonia tra il nostro cuore e la Natura – è evidente nel secondo modo di vivere. Il terzo sembra evitare la roccia accettando la disarmonia fin dall’inizio e sfidandola. Ma non funzionerà davvero. In essa, infatti, si battono i nostri valori umani contro l’idiozia dell’universo. Il che significa che parliamo come se i nostri valori fossero qualcosa al di fuori dell’universo che può essere messo in contrasto con essi; come se potessimo giudicare l’universo da un modello di valori preso in prestito da un’altra fonte. Ma se (come supponevamo) la Natura – il sistema spazio-tempo-materia – è l’unica cosa esistente, allora ovviamente non ci può essere altra fonte per i nostri valori. Devono, come ogni altra cosa, essere il risultato involontario e insignificante di forze cieche. Lungi dall’essere una luce dall’aldilà della Natura per cui la Natura può essere giudicata, essi sono solo il modo in cui gli antropoidi della nostra specie si sentono quando gli atomi sotto il nostro stesso cranio entrano in certi stati – quegli stati che vengono prodotti da cause piuttosto irrazionali, disumane e non morali. Così il terreno su cui sfidiamo la Natura si sgretola sotto i nostri piedi. Il modello che stiamo applicando è contaminato alla fonte. Se i nostri valori derivano da questo universo privo di significato, devono essere altrettanto privi di significato.
Ritengo che la maggior parte delle persone moderne debba riflettere su pensieri di questo tipo prima ancora che la concezione opposta possa essere sottoposta a un equo processo. Tutto il Naturalismo, in fin dei conti, ci porta a questo: a una discordia definitiva e senza speranza tra ciò che le nostre menti pretendono di essere e ciò che devono realmente essere se il Naturalismo fosse vero. Esse pretendono di essere spirito; cioè di essere ragione, di percepire i principi intellettuali universali e le leggi morali universali e di possedere il libero arbitrio. Ma se il Naturalismo è vero, gli esseri umani non possono che essere disposizioni di atomi in crani, che derivano da una causalità irrazionale. Non formuliamo mai un pensiero perché è vero, ma solo perché la Natura cieca ci costringe a formularlo. Non facciamo mai un gesto perché è giusto, ma solo perché la Natura cieca ci costringe a farlo. È quando si è di fronte a questa conclusione assurda che si è finalmente pronti ad ascoltare la voce che sussurra: «E se fossimo davvero degli esseri spirituali? E se non fossimo progenie della Natura?».
Perché, davvero, la conclusione naturalistica è incredibile. Per prima cosa, è solo attraverso la fiducia nella capacità delle nostre menti che abbiamo imparato a conoscere la Natura stessa. Se la Natura, quando è pienamente conosciuta, sembra insegnarci (cioè, se le scienze ci insegnano) che le nostre menti sono disposizioni casuali di atomi, allora ci deve essere stato qualche errore; perché se così fosse, allora le scienze stesse sarebbero disposizioni casuali di atomi e non dovremmo avere motivo di credere alle loro deduzioni. C’è solo un modo per evitare questa situazione di stallo. Dobbiamo tornare a una visione molto precedente. Dobbiamo semplicemente accettare di essere spiriti, esseri liberi e razionali, che attualmente abitano un universo irrazionale, e dobbiamo trarre la conclusione che non ne siamo derivati. Siamo estranei su questo mondo, veniamo da qualche altra parte. La natura non è l’unica cosa che esiste. Esiste un “altro mondo”, ed è da lì che veniamo. E questo spiega perché non ci sentiamo a casa qui. Un pesce si sente a casa in acqua. Se appartenessimo a questo universo dovremmo sentirci a casa qui. Tutto ciò che diciamo sulla “Natura violenta”, sulla morte, il tempo e la mutevolezza, tutto il nostro atteggiamento per metà spavaldo e per metà schivo nei confronti del nostro corpo, è abbastanza inspiegabile sulla teoria che siamo semplicemente creature naturali. Se questo mondo è l’unico mondo, come siamo arrivati a trovare le sue leggi così terribili o così comiche? Se non c’è una linea retta da qualche altra parte come abbiamo fatto a scoprire che la linea della natura è storta?
Ma cos’ è, allora, la Natura, e come arriviamo a essere imprigionati in un sistema così estraneo a noi? Stranamente, la questione diventa molto meno sinistra nel momento in cui ci si rende conto che la Natura non è tutto. Se la scambiamo per nostra madre, è terrificante e persino abominevole. Ma se la riconosciamo come soltanto una nostra sorella – se essa stessa, come anche noi, ha avuto origine dallo stesso Creatore – se è la nostra compagna di squadra – allora la situazione è abbastanza tollerabile.
Forse non siamo qui come prigionieri ma come coloni: basti pensare a quello che abbiamo già fatto al cane, al cavallo o al narciso. È davvero una compagna di giochi violenta. In essa ci sono elementi del male. Per spiegarlo dovremmo tornare indietro nel tempo: dovrei parlare di Potenze e di Principati e di tutto ciò che sembrerebbe a un lettore moderno più mitologico. Non è questo il posto, né questa la corretta priorità da rispettare. Al momento basta dire che la Natura, come noi ma in modo diverso, è molto alienata dal suo Creatore, anche se in essa, come in noi, rimangono bagliori della vecchia bellezza. Ma non sono lì per essere adorati, ma per essere goduti. Non ha niente da insegnarci. È nostro compito vivere secondo la nostra legge non secondo la sua: seguire, nella vita privata o pubblica, la legge dell’amore e della temperanza anche quando sembrano avere tendenze suicide, e non la legge della competizione e dell’accaparramento, anche quando sembrano essere necessarie alla nostra sopravvivenza. Perché fa parte della nostra legge spirituale non mettere mai la sopravvivenza al primo posto: nemmeno la sopravvivenza della nostra specie. Dobbiamo impegnarci risolutamente a sentire che non vale la pena cercare a tutti i costi la sopravvivenza dell’Uomo su questa Terra, o quella della nostra nazione o cultura o classe, a meno che tale sopravvivenza non possa ottenersi con mezzi onorevoli e misericordiosi.
Il sacrificio non è così grande come sembra. Nulla ha più probabilità di distruggere una specie o una nazione della determinazione a sopravvivere a tutti i costi. Coloro che si preoccupano di qualcosa di più della civiltà sono le uniche persone davvero capaci di preservarla. Coloro che desiderano maggiormente il Cielo sono quelli che servono meglio la Terra. Coloro che amano l’uomo meno di quanto amino Dio sono quelli che fanno di più per l’uomo.
(Titolo originale: On Living in an Atomic Age, in Present Concerns, Journalistic Essays, HarperOne, 2017)
Come hai giustamente anticipato l’articolo è impegnativo e non si presta a commenti “improvvisati”. Prima di tutto per la profondità degli argomenti trattati; in secondo luogo perché ritengo che una mente così vivace, capace di pubblicare testi che spaziano fra tematiche disparate, sempre in grado però di armonizzarle per ricondurle al tema della fede nel Dio Creatore, non sia possibile comprenderla appieno in tutto ciò che ci vuole trasmettere. Mi limiterò quindi ad esprimere qualche modestissima sensazione ricevuta.
Ho ascoltato in questi giorni fratelli che hanno contestato aspramente il ruolo dei mass-media ed il modo in cui ci stanno tartassando con le tristi e attuali ben note notizie. Tutto ciò produce negli animi delle persone smarrimento, scoraggiamento, depressione, capaci di paralizzarci e, soprattutto, allontanarci e distoglierci dal pensare a Dio, alle sue immense benedizioni e risorse. A quel vangelo, insomma, capace di risvegliarci e farci reagire a un diabolico sistema che, in modo strisciante, ci vuole trasmettere l’idea di un Dio perdente al quale è sfuggita di mano la situazione ormai fuori controllo. La fede in un Dio creatore, lo studio e la meditazione della sua Parola, ci possono elevare al di sopra di questa cortina opprimente per intravvedere una prospettiva del mondo, dell’uomo e della sua storia totalmente differenti: sapere che niente è affidato al caso ma che esiste un Dio al quale nulla sfugge, che non è spiazzato da questi eventi (che semplicemente si ripetono sotto differenti sembianze), che ha il controllo dell’intera sua creazione e attende solamente di pronunciare la parola “fine” per stabilire il suo Regno eterno, una volta per sempre. Grazie, Reno, per la condivisione di questo testo.