È abbastanza conosciuto il racconto dell’invio dei dodici esploratori mandati da Mosè nel paese di Canaan e del rapporto che ne fecero. La storia possiamo leggerla per intero in Numeri 13.
Qui di seguito una parte del racconto biblico:
«Dopo quaranta giorni tornarono dall’esplorazione del paese e andarono a trovare Mosè e Aaronne e tutta la comunità dei figli d’Israele nel deserto di Paran, a Cades: riferirono ogni cosa a loro e a tutta la comunità e mostrarono loro i frutti del paese. Fecero il loro racconto, e dissero: “Noi arrivammo nel paese dove tu ci mandasti, ed è davvero un paese dove scorrono il latte e il miele, ed ecco alcuni suoi frutti. Però il popolo che abita il paese è potente, le città sono fortificate e grandissime, e vi abbiamo anche visto dei figli di Anac. Gli Amalechiti abitano la parte meridionale del paese; gli Ittiti, i Gebusei e gli Amorei, la regione montuosa; e i Cananei abitano presso il mare e lungo il Giordano». Caleb calmò il popolo che mormorava contro Mosè, e disse: ‘Saliamo pure e conquistiamo il paese, perché possiamo riuscirci benissimo’”. Ma gli uomini che vi erano andati con lui dissero: “Noi non siamo capaci di salire contro questo popolo, perché è più forte di noi”. E screditarono presso i figli d’Israele il paese che avevano esplorato, dicendo: “Il paese che abbiamo attraversato per esplorarlo è un paese che divora i suoi abitanti; tutta la gente che vi abbiamo vista è gente di alta statura; e vi abbiamo visto i giganti, figli di Anac, della razza dei giganti. Di fronte a loro ci pareva di essere cavallette; e tali sembravamo a loro”». (Numeri 13:25-33)
Siamo al cospetto di uno dei momenti più solenni e tragici della storia d’Israele. Uno di quelli in cui un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno. Queste persone, incaricate di esplorare il paese, ebbero un ruolo e pronunciarono parole dal peso e dalle conseguenze inimmaginabili per loro stessi e, probabilmente, per la grandissima parte di chi li ascoltò.
In questo passo c’è una netta tensione tra due visioni del mondo, che non sono le uniche ma che si trovano agli antipodi. Entrambe sono realistiche poiché non hanno nulla del romanticismo misticheggiante, sdolcinato e cieco (o perlomeno miope) dell’ottimismo irrazionale del fideismo superstizioso, perché privo di alcun fondamento di verità, che è sempre stato presente in un certo tipo di frequentatori di chiese.
Mi riferisco all’attitudine di chi, pur millantando di agire per fede, in realtà confida nelle proprie forze e sminuisce le capacità e le potenzialità distruttive del nemico. Questa attitudine temeraria si mostra più volte nella storia biblica dei due Testamenti: nella prima battaglia di Ai nel corso della conquista della “terra promessa” (Giosuè 7:2-6 ), nella seconda battaglia contro i filistei al tempo di Samuele (1 Samuele 4:3-11), nella vanagloriosa e autodistruttiva corsa di Asael (2 Samuele 2:18-23) nella presuntuosa prosopopea di Pietro (Matteo 26:33) e nella tragicomica vicenda dei figli di Sceva (Atti 19:13-16).
Diversamente da quanto appena descritto, che è pura illusione e inganno, le visioni del mondo che vediamo qui a confronto sono entrambe realistiche perché non sono affatto cieche. Le persone che le esprimono vedono le difficoltà e sono consapevoli dei limiti e delle debolezze personali. Sono entrambe analitiche, e precise nel descrivere e riferire ciò che i sensi percepiscono e scoprono, ed entrambe esprimono dei giudizi e fanno delle valutazioni oneste e, a seconda dei punti di vista, logiche e giustificabili.
Una delle due, però, è difettosa perché incompleta. È ostinatamente naturalistica ed esclude un fattore importantissimo, ovvero che, insieme e oltre le forze naturali (le cause seconde), in questo mondo, agisce anche la potenza soprannaturale di Dio, il quale spiega la sua forza in favore di quelli che lo temono e confidano in lui e che egli lo fa affinché il suo piano perfetto si compia. Quelli che si attengono esclusivamente alla visione del mondo naturalistica sono la maggioranza e, spesso, appaiono come i più esperti e credibili poiché, bisogna dirlo, i miracoli accadono raramente nel mondo o, perlomeno, non in modo tanto eclatante da potere essere banalizzati. Costoro costituiscono la maggioranza nel mondo, eppure sono nell’errore. Nella nostra storia possiamo ben dire che sono stati fedeli e puntigliosamente precisi nel descrivere e riferire la realtà, senza omettere i fattori positivi e curandosi di sottolineare appropriatamente quelli problematici e negativi. Ma quale risultato ottennero? Quello che divennero dei “calunniatori” perché, in pratica, screditarono il paese che Dio aveva promesso loro di dare (il termine ebraico דּבּה dibbâh del v. 32 significa proprio “sussurrare, spettegolare, diffamare, parlar male di qualcuno o di qualcosa).
Di genere del tutto diverso è il realismo di Caleb e Giosuè. Esso vede le stesse cose e non trascura, non minimizza né, tantomeno, nega le difficoltà. Ma osserva che nel computo dei loro colleghi manca un elemento fondamentale, perché hanno omesso di ponderare ciò che è in grado di fare la differenza tra un’avventura eroica disperata e una sofferta e costosa vittoria. L’elemento mancante che portava i due a esprimersi con una certa baldanza è “il favore divino”! “Noi possiamo riuscirci benissimo” (Num. 13:31) “se il Signore ci è favorevole” (Num. 14:8), dissero. Certo, c’è un elemento d’incertezza, c’è un “se” che rimane come un ponte traballante tra la morte e la salvezza, c’è la consapevolezza che noi tutti abbiamo bisogno della grazia di Dio e che i percorsi di questa grazia possono anche essere lunghi, tortuosi e portarci per quarant’anni in deserti e ad attraversare molte “valli della morte” e inferni, ma escluderla dal computo è un errore fatale perché, per il Signore, non c’è nulla che sia troppo difficile!
Quando ci si trova davanti alla vigilia o all’inizio di una grande impresa solo un’attitudine è quella giusta: quella degli uomini di guerra e di fede, degli uomini volenterosi, laboriosi, fedeli e credenti come Caleb e Giosuè di cui la chiesa di ogni tempo ha sempre avuto bisogno e che, se mancano, non possiamo che attenderci soltanto dei disastri!
Grazie mille Pastore Ulfo, una profonda verità e un grande spunto di riflessione….. Tante volte tendiamo ad essere come i 10 esploratori…… Piuttosto che somigliare a Caleb e Giosuè. Che Dio ci aiuti ad essere uomini laboriosi e di fede….. Che servono con impegno,sforzove fatica, ma con la consapevolezza che il nostro Dio e sovrano e Re sopra ogni cosa, e che per Lui ogni cosa è possibile.
Grazie pastore ulfo x la profonda riflessione ricca di tanta verità..Dio ci aiuti sempre ad avere la giusta consapevolezza della realtà ma con la consapevolezza che il Signore è colui che è sovrano su ogni cosa e questo produce in noi tanta serenità.
Grazie Reno.
L’insegnamento per me è quello di profondere un maggiore impegno nel ricercare la perfetta volontà del Dio sovrano stando in ascolto e in preghiera alla sua presenza.
Siamo sempre e comunque condizionati dai nostri fallaci ragionamenti e dall’emotività, ma se riusciamo a mantenere la necessaria umiltà e onestà Dio benedirà e porterà la luce e la fede necessarie per procedere nella giusta direzione al fine di servirlo e onorarlo.