Giacomo paragona la nostra lingua a “un fuoco” (Gc. 3:5) e afferma che non esiste alcuna persona che sia in grado di tenerla sotto controllo (Gc. 3:8), infatti dice che, se ci fosse qualcuno capace di non sbagliare nel parlare, questi sarebbe “un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo” (Gc. 3:2).
Jonathan Edwards si preoccupava di tenere sotto controllo la propria lingua e, soprattutto quando c’era da dire qualcosa su qualcuno, il suo proponimento (il sedicesimo) era:
Mi propongo di non dire mai male di nessuno per cercare di disonorarlo, poco o molto, per nessuna ragione salvo che per fargli veramente del bene.
“Dire male di qualcuno” non è esattamente come “maledire qualcuno”. Dio “maledice” senza peccare (Ge. 12:3). Egli ne ha ben d’onde, perché le sue parole sono sempre parole di verità e giustizia. Sul suo popolo che stava per entrare nella terra promessa si compiacque di pronunciare sia delle meravigliose parole di benedizione, sia delle spaventose parole di maledizione (Deu. 28). Ciò che Balak, il malvagio re di Moab, disse del falso profeta Balaam è vero solo se applicato a Dio: «chi tu benedici è benedetto, e chi tu maledici è maledetto» (Num. 22:6).
Ma a noi uomini è comandato di “benedire e non maledire” (Ro. 12:14). Questo è un uso della nostra lingua sul quale dobbiamo fare grande attenzione.
Cosa si propose di fare Edwards, allorché si presentava l’occasione di dire o di riportare qualcosa di male che qualche persona di sua conoscenza avesse fatto?
Prima di tutto questo proponimento ha come presupposto che non tutto quello che sappiamo, che ci passa per la testa, che abbiamo nel cuore o che ci accade deve o può essere detto. Edwards si propose di essere misurato nelle parole da spendere nei confronti di persone che sbagliano o peccano. Sia Salomone sia il Signore Gesù Cristo parlarono del pericolo e della vanità dell’uso di “moltitudine di parole” (Pro. 10:19; Ecc. 5:3, 7; Mt. 6:7).
La parola è un dono divino all’umanità, il linguaggio un segno della nostra somiglianza al Creatore, e le parole sarebbero d’oro solo se i cuori fossero perfettamente puri, ma così non è. La moderazione nel parlare è una virtù tanto utile e da ricercare quanto lo è nel mangiare, nel bere e in qualunque altra attività umana che se prende il controllo della nostra esistenza ci assorbe e ci trascina in un vortice di dipendenze e di male.
Le nostre parole devono essere poche e misurate non solo al cospetto di Dio, ma anche quando parliamo tra noi. L’autocontrollo di cui ho detto nella riflessione precedente deve riguardare anche questo aspetto, in modo particolare quando sono coinvolte altre persone e, soprattutto, in loro assenza.
Ovviamente qui non sto facendo l’elogio del mutismo o dell’omertà.
Esiste un silenzio peccaminoso (Is. 56:10), ed esiste il dono della sintesi, del quale, alcuni di noi non sono stati dotati. Ma la giusta misura sta nel curarci che i nostri discorsi non siano leggeri e vani, fumosi e privi di sostanza o, per usare un’espressione biblica “pomposi e vacui” (2 Pt. 2:18). Infatti ci sono delle persone che, anche se parlano a lungo non ci stancheremmo mai di ascoltarle!
Qui, però si parla di altre cose, infatti, i versetti di Proverbi 11:13 e 20:19 descrivono il carattere e l’azione di “chi va sparlando” ovvero delle persone pettegole, di chi ha l’abitudine di raccontare i fatti altrui e che fa l’azione del calunniatore perché si occupa di far conoscere ad altre persone dei “segreti” che, spesso, sono cose poco edificanti e vergognose. Chi di noi vorrebbe essere tale? “Andare sparlando” ci fa pensare a un’attività abituale, pianificata e caratteristica di quella persona. Siamo così? Lo facciamo? Rimproveriamo chi lo fa?
In secondo luogo Edwards si propose di controllare quali fossero le motivazioni del suo cuore e volle fissare bene nella propria mente che le sue intenzioni dovessero essere esclusivamente l’accrescimento dell’onore e non del disonore della persona di cui avrebbe parlato. Le persone si possono derubare e uccidere in molti modi, il più tragico è quello di infangare il loro nome o anche quello di rovinare sconsideratamente la loro reputazione (Pro. 18:21). La “buona reputazione” o “il buon nome”, infatti, la Scrittura li definisce come cose preziose (Ecc. 7:1). Una buona domanda da farci, quando abbiamo parlato di qualcuno con qualcun altro, sarebbe quindi: «Ho fatto in modo di accrescere o, perlomeno, mantenere immutato l’onore che il mio interlocutore attribuiva alla persona di cui ho parlato, oppure l’ho sminuita e disonorata ai suoi occhi?»
In terzo luogo, relativamente agli scopi che intendeva ottenere nel parlare di qualcuno e delle sue azioni, Edwards si proponeva di fare solo del bene e che avrebbe “detto male di qualcuno” esclusivamente se il suo parlare avrebbe potuto avere l’effetto di procurare “veramente del bene” a coloro che erano oggetto dei suoi discorsi.
Gli scopi che ci prefiggiamo nel fare o dire qualcosa fanno parte dell’azione che compiamo e la connotano come buona e morale o come peccaminosa e immorale. Il mezzo e lo scopo non possono essere discordanti e i “buoni fini” non giustificano mai mezzi malvagi, disonesti o immorali. I cristiani usano solo dei mezzi buoni (parole buone, vere, oneste, sincere, edificanti) per ottenere buoni scopi (la correzione, il progresso, l’istruzione, il miglioramento, la santificazione).
Noi viviamo in un’epoca in cui il pettegolezzo, la calunnia, il sarcasmo e la diffamazione sono estremamente facilitati e praticati.
Sebbene il cuore dell’uomo sia fondamentalmente lo stesso da quando Adamo ed Eva rifiutarono l’autorità divina e si è ribellarono al loro Creatore, oggi, abbiamo a nostra disposizione strumenti straordinariamente potenti per diffondere il male, la calunnia o anche semplicemente delle notizie che, pur essendo vere, non giovano né a noi che le riportiamo, né a chi le ascolta né alla persona della quale trattano.
Nell’epoca delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione e delle reti sociali è necessario che un maggior numero di cristiani considerino quanto sia utile anche il sedicesimo dei proponimenti di Jonathan Edwards che, lo ripeto, è:
Mi propongo di non dire mai male di nessuno per cercare di disonorarlo, poco o molto, per nessuna ragione salvo che per fargli veramente del bene.