In questo post, che appartiene alla serie in cui sto discutendo dei proponimenti di Jonathan Edwards, considererò l’ottavo, che è:
«Mi propongo di comportarmi, in ogni cosa, nel parlare e nell’agire, come se io fossi la persona più vile, come se avessi commesso gli stessi peccati, avessi le stesse infermità o fossi caduto negli stessi sbagli degli altri. Mi propongo di far sì che la conoscenza dei loro errori non produca altro che vergogna in me e sia un’occasione per confessare i miei peccati e la mia miseria davanti a Dio».
Mi sono chiesto: «Perché mai un giovane convertito può concepire un tale proponimento? E come mai può giungere a prendere una tale risoluzione?»
La risposta alla prima domanda è piuttosto semplice: chi ha questo genere di pensieri è una persona che possiede un’altissima sensibilità nei confronti del peccato, un fortissimo desiderio di essere liberato da esso e, allo stesso tempo, che intende trattare in modo compassionevole le altre persone che peccano, allo scopo di aiutare anch’esse nel cammino della santificazione. Per queste ragioni Edwards, osservando la realtà del peccato altrui, volle regolare così il suo parlare e agire.
Per rispondere alla seconda domanda, che riguarda come Edwards possa essere giunto a prendere una tale risoluzione, ho voluto usare l’immaginazione.
Ho cercato di immaginare che, come è accaduto a ciascuno di noi, Edwards abbia visto qualcuno trasgredire la legge di Dio o non conformasi a essa. Questi peccati potrebbero essere stati commessi contro Dio, da persone che egli conosceva bene oppure da altri che non conosceva affatto. Oppure egli stesso aveva subito il danno dei peccati commessi da altri, come nel caso di una maldicenza o calunnia nei suoi confronti, o di qualunque altra offesa che qualcuno – peccando – avrebbe potuto arrecargli.
Cosa succede a qualunque essere umano che si trova in una tale situazione? Si può reagire in vari modi. Eccone alcuni:
- Si può pensare: «Com’è possibile che tizio abbia fatto una tale cosa? È mai possibile che sia stato capace di tanto? Che ipocrita! Può mai essere una persona rigenerata quella che agisce così?» Questo, a seconda dei modi in cui si agisce, potrebbe essere definito come “scandalizzarsi” o “indignarsi” ma non è altro che una palese manifestazione di orgoglio. Chi pensa così si considera ben al di sopra rispetto a “quel peccatore” e, nel segreto del cuore, pensa che non farebbe mai nulla del genere, perché lui (o lei) è diverso, è migliore, è rigenerato/a, ecc. È esattamente ciò che pensò e fece Pietro poco prima di rinnegare per ben tre volte il Signore (Mt. 26:33; Mc. 14:29).
- Si può cominciare a raccontare in giro quello di cui si è venuti a conoscenza e far conoscere a tutti i peccati che si sono visti commettere o che si sono dovuti subire. Ciò può essere fatto in vari modi, che possono essere più o meno eleganti ma, nella gran parte dei casi, si tratta sempre di maldicenza e del segreto desiderio di mettere in cattiva luce gli altri per giustificare se stessi o per farsi commiserare. (Pro. 11:13).
- Ci si può adirare e reagire violentemente nei confronti delle persone che hanno peccato. Anche in questo caso, l’ira a cui ci si abbandona potrebbe essere fatta passare come espressione di zelo nei confronti del vero e del giusto, o manifestarsi come una reazione istintiva e incontrollata ed essere meno giustificabile. In ogni caso, tale comportamento, è generalmente il modo in cui ci si vendica e non è altro che espressione del desiderio di rivalsa. (Ro. 12:19).
- Si può rimanere indifferenti o stoicamente distaccati, come se la cosa non ci riguardasse, come se non fosse accaduto nulla, come se nulla potesse essere fatto affinché le cose viste, sentite o subite accadano meno frequentemente o non accadano affatto. Questo atteggiamento di insensibilità o di fatalismo nei confronti del male rivela una coscienza indurita e una desistenza nei confronti della battaglia contro il male e il peccato. Questo è l’atteggiamento stigmatizzato dall’apostolo Paolo nei Corinzi che tolleravano l’incestuoso senza prender alcun provvedimento (1 Co. 5:1-5; Cfr. Ap. 2:20).
Sicuramente si potrebbe pensare anche ad altre reazioni, tutte ugualmente sbagliate.
Edwards, comunque rifiutò di incamminarsi per le vie dello scandalo, della maldicenza, della vendetta e dell’apatia, che poi sono tutte vie traverse della via dell’orgoglio! Egli scelse la via dell’umiltà.
Agostino d’Ippona affermò che l’umiltà è la prima, la seconda e la terza virtù cristiana. Egli non si sbagliava. La parola umiltà deriva da humus (terra) ed essere umili è ciò che maggiormente si addice a esseri che sono costituiti proprio della ”polvere della terra”!
Il cristiano è una persona che ha visto Dio e che, avendo contemplato le sue perfezioni, ha visto se stesso nella giusta luce. Come Isaia, Neemia, Daniele e tutti i grandi intercessori, prostrato al cospetto di Dio, il credente autenticamente umile si vede ugualmente colpevole come il resto del popolo e non prova minimamente a distinguersi dagli altri. Non si mette a confronto di altri peccatori, non si misura con un metro umano e riconosce che la medesima corruzione che ha portato i suoi simili a peccare così gravemente, è presente e operante anche nel suo stesso cuore.
Quando scorge qualcuno peccare non esclama: «Guai a te, peccatore!», ma si lamenta di se stesso dicendo: «Misero me, uomo!». Non si permette di scagliare la prima pietra, sa bene di non essere senza peccato.
Questo atteggiamento autenticamente umile, Edwards, si propone di attuarlo «nel parlare e nell’agire» poiché è relativamente facile apparire umili nelle parole, magari in preghiera, al cospetto di Dio, salvo poi esprimere una condotta arrogante, superba e orgogliosa nei confronti dei nostri simili e dei nostri fratelli. Non vi ricorda questo modo di fare l’atteggiamento del fariseo della parabola? (Lc. 18:9-14).
Edwards si propose di non giudicare frettolosamente, ma di porsi “nei panni altrui” e di mostrare un’umile compassione verso chiunque, anche verso chi, nel futuro, avrebbe peccato contro di lui.
A volte, assumere un atteggiamento diverso è pura ipocrisia, poiché le stesse persone che giudicano gli altri non fanno altro che condannare se stesse (Cfr. Ro. 2:1-3; 17-23)
Diversamente, l’atteggiamento umile al cospetto di Dio e degli uomini produce esattamente quello che Edwards si propose di fare in questi casi: un più attento ed efficace esame di se stessi, il provare vergogna di se stessi, la confessione a Dio dei propri peccati e della propria miseria e il prendere le giuste precauzioni affinché non accada di peggio a noi che ci siamo avveduti della gravità del comportamento altrui.
La via dell’orgoglio, anche di quello che si nasconde sotto il manto della religiosità, dello zelo per la verità, dell’amore della giustizia e della ricerca della purezza, porta solo alla distruzione personale, alla dissoluzione di ogni relazione e alla rovina eterna.
La via dell’umiltà è la via migliore, è la via che ci porta in cielo!