Quali immagini e quali pensieri sorgono nella vostra mente sentendo la parola “vendetta”?
Forse, qualcuno di noi penserà a un film che lo ha particolarmente colpito, a una storia ascoltata o a qualche triste esperienza vissuta in prima persona.
A qualcun altro verranno in mente frasi e massime associate alla vendetta.
Ma quanti di noi si soffermeranno a riflettere sui pensieri di vendetta che abbiamo elaborato nella nostra mente, sulle parole pronunciate per restituire un male ricevuto o, addirittura, sulle azioni compiute per “render pan per focaccia” a chi aveva osato maltrattarci.
“Mi propongo di non agire mai per vendetta”.
Questo è il quattordicesimo proponimento di Jonathan Edwards e significa che, qualora avesse ricevuto un torto da qualcuno, la sua ferma risoluzione lo avrebbe portato a non ripagare con la stessa moneta chi glielo avrebbe procurato.
Lo spirito vendicativo non fa parte del carattere del cristiano. La Scrittura è molto chiara a questo proposito: «Non rendete a nessuno male per male. Impegnatevi a fare il bene davanti a tutti gli uomini. […] Non fate le vostre vendette, miei cari, ma cedete il posto all’ira di Dio; poiché sta scritto: “A me la vendetta; io darò la retribuzione”, dice il Signore.» (Ro. 12:17, 19).
Qualcuno, a questo punto, citerà la lex talionis, ma bisogna ricordare che lo scopo originario di “occhio per occhio; dente per dente” era quello di limitare le sanzioni proporzionandole all’offesa affinché la pena Non eccedesse il male arrecato e non fosse comminata privatamente, poiché era prerogativa dei giudici amministrare la giustizia e assegnare le pene adeguate.
Dio non ha mai autorizzato faide e rappresaglie. Seppure nella Bibbia possiamo leggere di episodi del genere, non avvengono con l’approvazione né per comandi divini. Gesù, poi – che pur riconosce il diritto dell’esercizio del potere ai magistrati, che sono stati stabiliti da Dio per fare il bene e promuoverlo (Gv. 19:11; Ro. 13:1-4) – ci ha insegnato e ha praticato la via eccellente dell’amore e della mansuetudine (Mt. 5:21-26; 38-48; 1 Pt. 2:19-25) e questo è lo standard e la direttiva per ciascuno di noi che vuole essere un “seguace dell’Agnello”.
Dunque, come bisogna reagire ai torti che subiamo?
Bisogna difendersi. La difesa, nella misura in cui non permettiamo agli altri di compiere i loro disegni malvagi e distruttivi nei nostri confronti, è sempre legittima. Il proverbiale “porgere l’altra guancia” dev’essere un’attitudine del nostro spirito piuttosto che un invito ai malvagi affinché ci distruggano. È una esortazione a mantenere un’atteggiamento di apertura (che dev’essere “cauta”) nei confronti di chi ci fa del male, e ci indica la via opposta a quella della vendetta. Gesù ha detto anche questo e non possiamo ignorarlo.
Bisogna mortificare ogni sentimento di rivalsa e desiderio di vendetta. Rifiutiamo di lasciarsi risucchiare dalla spirale di chi “rende male per male”. Se la nostra posizione è di debolezza, i sentimenti di rivalsa ci procureranno un grande senso di frustrazione poiché “«siccome la sentenza contro un’azione cattiva non si esegue prontamente, il cuore dei figli degli uomini è pieno della voglia di fare il male» (Ecc. 8:11). Infatti, Dio che ci ha promesso di fare giustizia, non lo farà secondo i nostri tempi e desideri. Se, poi dovessimo essere la parte forte, coltivando pensieri vendicativi, rischiamo di divenire oppressivi, di commettere i medesimi peccati e, così facendo, di essere trascinati nel vortice del male.
Bisogna pregare rimettendoci alla buona volontà di Dio e attendere con pazienza il tempo del suo intervento. Rimetterci al nostro fedele Creatore (1 Pt. 4:19) è la cosa migliore da fare, deporre nelle sue mani la nostra causa e tornare di tanto in tanto a esprimere le nostre richieste a Dio è il giusto atteggiamento. Tuttavia, anche quando Dio farà giustizia, dovremmo ben guadarci dal rallegrarci della rovina del nostro nemico (Pro. 24:17,18), ciò, infatti, non si confà al carattere del cristiano. Che Dio ci conceda la “pietà mista al timore” di cui parla Giuda (v. 23).
Edwards, maltrattato dai suoi stessi parrocchiani quando considerò quale sermone avrebbe dovuto predicare l’ultima volta che sarebbe salito sul pulpito della chiesa di Northampton, scelse come testo 2 Corinzi 1:14
«[…] come in parte avete già capito, che noi siamo il vostro vanto, come anche voi sarete il nostro nel giorno del nostro Signore Gesù».
Tra le altre cose, ecco alcune frasi che rivelano il suo cuore e i suoi sentimenti verso quel popolo:
Fate che il recente diverbio, riguardo ai requisiti per la comunione cristiana, così com’è stato il maggiore sia anche l’ultimo. Vorrei dirvi, dal momento che sto predicando il mio sermone d’addio, come l’apostolo ai Corinzi in II Corinzi 13:11: «Del resto, fratelli, rallegratevi, ricercate la perfezione, siate consolati, abbiate un medesimo sentimento, vivete in pace; e il Dio d’amore e di pace sarà con voi». Possa Dio benedirvi con un pastore fedele, che abbia chiarezza di idee e di scopi, che ammonisca continuamente i peccatori, che esamini con sapienza ed acume la coscienza dei credenti, guidandovi nella via dell’eterna beatitudine.
Così, quel primo luglio del 1750, dopo aver predicato, egli stesso notò che:
«Molti della congregazione sembrarono essere assai toccati ed alcuni fin troppo addolorati. Credo anche che alcuni di coloro che hanno votato perché me ne andassi si siano mitigati nel cuore».
Come dice il suo biografo, questo sermone:
«ci fornisce un’impressione intensa del suo carattere. Egli non nascose alla sua gente d’essere stato sprofondato “in un abisso di disgrazia e dolore”, eppure le sue parole furono insolitamente scevre di rimprovero o d’accusa. I suoi taccuini mostrano che inizialmente egli aveva preparato un altro testo per quest’occasione, cioè Geremia 25:3, dove il profeta parla di ventitré anni di ministero (esattamente il tempo stesso di Edwards a Northampton) che si conclude: “Ma voi non avete dato ascolto”. Edwards mise da parte questo brano, vi accennò solo di sfuggita nel sermone effettivamente predicato, non citò il rimprovero col quale termina questo verso ed assicurò alla sua gente: “Non è mia intenzione paragonarmi al profeta Geremia”».
Da giovane cristiano, Edwards si era ripromesso di non agire mai per vendetta.
Da persona matura, da pastore dimesso dalla propria congregazione e in un momento in cui, magari, avrebbe avuto delle buone ragioni e sicuramente la possibilità di togliersi il proverbiale “sassolino dalla scarpa” non solo non lo fece, ma si esercitò a mostrare il massimo grado di grazia e amore verso i suoi fratelli. Fu così perché in tutta la sua vita era stato un autentico seguace dell’Agnello.
Preghiamo anche noi di poter mantenere sempre una «incantevole serenità d’animo» (uno dei tratti che nel 1723 aveva ammirati nella sua futura sposa) e facciamo sì che tale serenità risplenda anche nei nostri volti, sempre, al cospetto di qualunque male e sofferenza che gli uomini ci procureranno*.
Chi offrirà la migliore testimonianza alla potenza della verità del Vangelo e chi potrà essere convincente della purezza del proprio zelo?
Saranno coloro sulla cui faccia si vede “il fremere della rabbia” e si sente “il digrignare dei denti” (At. 7:54), oppure quelli che, come Stefano, hanno il volto “simile a quello di un angelo”? (At. 6:54).
A chi vorreste somigliare?
* Le informazioni e le citazioni tratte dall’ultimo sermone di Edwards alla sua congregazione sono contenute nella biografia di Iain Murray, pagg. 376-378.