Molte persone conoscono Jonathan Edwards solo per sentito dire perché non hanno mai letto i suoi scritti. Tuttavia, molto probabilmente, sanno che compose e predicò un sermone dal titolo: “Peccatori nelle mani di un Dio adirato“.
Per questo e per altre ragioni Edwards è generalmente relegato tra quel genere di predicatori che agitano dinanzi alla gente i terrori dell’inferno e che offrono un’immagine talmente negativa del cristianesimo da renderlo insopportabile e odioso. L’immagine che ne risulta è quella di un uomo cupo, dallo sguardo corrucciato, severo e inflessibile. Ma a conoscerlo davvero, attraverso i suoi scritti, le biografie che sono state scritte su di lui e i ritratti dell’epoca che lo hanno immortalato, una tale immagine risulta del tutto ingiustificata.
In effetti Edwards rifletté e predicò molto sulla dannazione dei malvagi, sul giudizio di Dio e su molti altri soggetti che oggi vengono raramente affrontati e spiegati onestamente e con franchezza da parte di molti predicatori, non perché non vi sia materiale biblico sufficiente a garantire certezza e precisione, ma solo perché si tratta di cose che la gente non vuole ascoltare e che rendono impopolare chi si ostina a parlarne.
Si ritiene che parlare di un Dio che si adira significhi sminuirlo e disonorarlo. Infatti, nel nostro modo d’intendere, l’ira è sempre associata alla frustrazione, alla vendetta, all’odio, alla mancanza di autocontrollo. Un Dio adirato – nella mente dell’uomo contemporaneo – è un “dio primitivo”, assetato di sangue, cupo, violento, spaventoso, malvagio! Un dio del genere può essere temuto, ma non potrebbe mai essere amato!
Eppure la Bibbia parla dell’ira di Dio come una delle perfezioni del suo carattere e non potrà essere eliminata né dall’ignoranza di chi non capisce come sia possibile che esista un tipo di “ira santa”, né dalla sbrigativa mutilazione che compiono per imbarazzo i teologi liberal e tutti coloro che assumono che contrasti con il sentimento latitudinario e agnostico prevalente nell’uomo del nostro tempo.
Ma un Dio che sia tale, un Dio santo e giusto non può sopportare la vista del male e non può che essere avverso nei confronti di chi lo commette (Abac. 1:13; Ro. 1:18-32).
Tutti gli uomini, a causa del peccato di Adamo e per quelli commessi Da ciascuno, sono “sotto l’ira di Dio”. Vi è un solo modo per ottenere la vita eterna e una sola via di scampo affinché l’ira divina sia distolta da noi: “credere nel Figlio di Dio, il Signore Gesù Cristo” (Gv. 3:36).
Queste sono cose molto serie. L’ira divina esiste! Dio è anche “un fuoco consumante” (Eb. 12:29).
Ma Edwards non rifletteva soltanto sulla giusta indignazione di Dio nei confronti dei peccatori e non considerava che ogni manifestazione d’ira fosse giusta e legittima. Esiste anche “l’ira degli uomini che non compie la giustizia di Dio” (Gc. 1:20) e in Apocalisse di parla della furia del “dragone” (Ap. 12:7) che è una rabbia implacabile contro Dio, contro suo popolo e contro il tutto ciò che nel mondo c’è di bene, di vero, di giusto e di bello.
Quindi, fare molta attenzione quando avvertiamo montare nel nostro cuore il sentimento dell’ira è il minimo, mentre è doveroso esaminarsi per riuscire a discernere quali sono le cause che lo hanno suscitato.
Edwards considera l’ira in vari proponimenti. Il quindicesimo, che è:
Mi propongo di non adirarmi mai, nemmeno un poco, nei confronti delle creature prive di ragione.
E poi il cinquantottesimo e il cinquantanovesimo:
Mi propongo non solo di trattenermi da ogni manifestazione di disgusto, inquietudine e ira nelle discussioni, ma di esibire sempre un’espressione amorevole, gentile e benigna (27 maggio e 13 giugno 1723).
Mi propongo che, quando sono maggiormente cosciente di essere provocato a intrattenere sentimenti cattivi ed ira, mi adopererò per sentire il bene ed agire in armonia ad esso. Mi propongo, in questi momenti, di manifestare bontà, anche se dovessi ritenere che in altre situazioni sarebbe svantaggioso e imprudente (12 maggio, 11 e 13 luglio 1723).
La prima cosa che notiamo è che il pastore di Northampton considerava con attenzione ciò e chi suscitava in lui ira o anche solo disgusto, inquietudine o qualunque altro sentimento cattivo. Egli considerava assolutamente peccaminoso adirarsi nei confronti di creature inanimate o esseri privi di ragione come cose, animali o piante.
Avrà pensato alla vicenda di Balaam e di Giona che s’infuriarono contro un’asina e nei confronti di un ricino (Cfr. Num. 22-24; Giona 4:5-10) e ne avrà tratto le giuste conclusioni dicendo a se stesso: «Io non lo farò mai!».
Contro chi si adirarono realmente quei due uomini? Perché lo fecero? Cosa li distolse dalla loro ira? Provate a rispondere a queste domande e capirete meglio la risoluzione di Edwards.
Adirarsi nei confronti di “creature prive di ragione” è come adirarsi contro Dio stesso che usa ogni cosa nel mondo per istruirci e correggerci (perlomeno, nel caso di Balaam e di Giona era così). Farlo è come incolpare il piede del tavolo di averci fatto del male perché lo abbiamo inavvertitamente (e dolorosamente) colpito col nostro alluce. Comportarsi così, significa dimenticare che quell’incolpevole suppellettile, proprio come l’asina di Balam, da lungo tempo ci ha servito silenziosamente e fedelmente e ci ha consentito di gioire dei nostri pranzi e delle nostre cene.
Adirarsi verso ciò o chi non è responsabile dei nostri guai è pura follia, è ingiusto e vano. Piuttosto rivela una pessima inclinazione: quella di voler sempre trovare un “capro espiatorio”, qualcuno su cui scaricare le nostre responsabilità. È un vizio antico quanto il peccatore Adamo che, incolpando la propria moglie, prima volle nascondere parte del proprio corpo, poi si andò a nascondere da Dio e, infine, dal meritato giudizio. Con le sue parole, vili e ingrate (Ge. 3:12), avrebbe tranquillamente consegnato Eva alla giustizia divina, pur di farla franca. Ma Dio aveva pensato diversamente.
In secondo luogo, se il sentimento dell’ira sorge da una provocazione deliberata, gratuita o motivata che sia, Edwards si propose di non abbandonarsi a manifestarlo apertamente. Noi, molto spesso, non possiamo controllare i moti interiori del nostro animo, ma possiamo sicuramente controllare le nostre reazioni visibili come il tono della nostra voce, il linguaggio del corpo, le parole che pronunciamo, le azioni che compiamo.
Qualcuno dirà che è solo disciplina autoimposta, comportamentismo o, addirittura che è ipocrisia farlo, ma la Scrittura lo definisce in modo ben diverso perché:
«Lo stolto lascia scorgere subito il suo cruccio, ma chi dissimula un affronto è uomo prudente.» (Pro. 12:16).
E anche:
«Lo stolto prende piacere non nell’intelligenza, ma soltanto nel manifestare ciò che ha nel cuore.» (Pro. 18:2).
La Scrittura chiama questa capacità – sempre più rara a vedersi – “intelligenza” e “autocontrollo”, e questi sono frutti che non maturano spontaneamente sull’albero della natura, ma in quello che è stato piantato presso i ruscelli perché sono “figli della fede” e “frutto dello Spirito” (Cfr. Sal. 1:3; Gal. 5:22; 2 Pt. 1:6).
Infine, Edwards, nei suoi proponimenti volle andare perfino oltre. Cosa avrebbe fatto quando, suo malgrado, avrebbe dovuto sostenere una discussione sgradevole e fastidiosa, o quando avrebbe dovuto ascoltare parole provocatorie, taglienti e bugiarde? Si sarebbe impegnato a mantenere un contegno imperturbabile e un’espressione glaciale? Il suo ideale di virtù era forse quello di raggiungere l’impassibilità, o l’απάθεια degli stoici?
Nient’affatto!
I suoi proponimenti erano di ricercare la grazia opposta al peccato dell’ira e di “esibire sempre un’espressione amorevole, gentile e benigna” anzi, addirittura si sarebbe adoperato per riuscire a “sentire il bene e agire in armonia ad esso”, ovvero avrebbe fatto di tutto per pensare a qualcosa che potesse suscitare nel suo animo sentimenti amorevoli e benigni, di grazia e di compassione proprio nei confronti delle persone che lo stavano provocando in modo da “manifestare bontà”, perfino in situazioni in cui “sarebbe [stato] svantaggioso e imprudente” farlo.
Per favore, non cliccate sul ”pollice in su” se non avete il coraggio di prendere anche voi questa risoluzione. Ma se l’avete, supplicate il Signore affinché vi doni la fede e il suo Spirito che sono necessari per conquistare questa virtù.
Il mondo sarà un luogo migliore se v’impegnerete in questa ricerca.