Il ventesimo proponimento di Jonathan Edwards riguarda l’attitudine nei confronti del cibo e le bevande.
«Mi propongo di mantenere la più rigida temperanza nel mangiare e nel bere».
Da quello che possiamo comprendere dalla lettura degli altri proponimenti, molti di questi principi coi quali Edwards volle regolare la propria condotta (egli non provò mai a imporli ad alcuno!), sorsero dalla riflessione sul proprio comportamento e dalle occasioni in cui si avvide di essere venuto meno davanti a Dio in qualche comandamento in particolare.
Normalmente noi ragioniamo in termini binari e siamo creature che tendono a cadere in ogni tipo di eccesso. Da una parte tendiamo ad abusare della libertà che abbiamo in Cristo, dall’altra cadiamo nel rigore di chi accumula divieti e proibizioni per evitare gli abusi. È la vecchia lotta tra antinomismo e libertarianesimo che non si è ancora conclusa.
Ma è proprio vero che non c’è rimedio a questa situazione?
I cristiani hanno un’etica anche riguardo al mangiare e al bere:
«Basta con il tempo trascorso a soddisfare la volontà dei pagani vivendo nelle dissolutezze, nelle passioni, nelle ubriachezze, nelle orge, nelle gozzoviglie, e nelle illecite pratiche idolatriche» (1 Pt 4:3).
Ed è vero che:
«il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Ro. 14:17),
ma non dobbiamo dimenticare che lo stesso apostolo che scrisse queste parole, nella medesima epistola, aveva scritto:
«Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno, senza gozzoviglie e ubriachezze; senza immoralità e dissolutezza; senza contese e gelosie» (Ro. 13:13).
Sia nel passo petrino sia in quello paolino colpisce il fatto che gli eccessi nel mangiare e il bere siano collegati ad altri peccati che tutti noi considereremmo più gravi: pratiche idolatriche, passioni, orge, contese, gelosie, immoralità. Ma tutto è collegato e le une non ci sono in assenza delle altre. Anzi, spesso, ciò che è generalmente considerato meno grave, diviene una porta d’accesso a ciò che è più serio e distruttivo.
Per questa ragione Edwards aspirava alla temperanza nel mangiare e nel bere, poiché quella era la prima difesa nei confronti di indulgenze più gravi e serie.
Qui non si tratta di fare discriminazioni nei confronti di persone estremamente obese perché non riescono a contenersi nel mantenere una dieta rigida o perché non sono sufficientemente disciplinate nell’osservare una routine di esercizio fisico che le manterrebbe in forma.
Ci sono delle persone (anche se la loro percentuale non è alta) che non hanno alcun freno inibitorio riguardo al mangiare e al bere e il cui aspetto non tradisce affatto questa loro peccaminosa indulgenza. Altrettanto vero è che ci sono persone che (come spesso ho sentito dire… anche se è eccessiva come affermazione): ingrassano se solo respirano!
Tuttavia, tenute in debita considerazione le eccezioni, cerchiamo di concentrarci sulla regola che è: la nostra intemperanza è denunciata fedelmente dalla bilancia e, se protratta nel tempo, diviene palese a tutti.
Perché dobbiamo essere temperanti?
Prima di tutto perché è così che mostriamo il giusto apprezzamento della grazia e della provvidenza di Dio. L’abuso è un’offesa a colui che ci dà il necessario per noi e il superfluo affinché lo condividiamo con chi ha di meno. Teniamo presente le disposizioni date da Dio al popolo israelita relativamente alla raccolta della manna: nessuno avrebbe dovuto averne troppa o troppo poca (Es. 16:17-18).
In secondo luogo perché la legge morale ce lo insegna. L’amore idolatra della nostra soddisfazione, oltre che una trasgressione del primo comandamento è una trasgressione del quinto che è: «Non uccidere». Noi, infatti, possiamo uccidere noi stessi in un istante, in modo violento, oppure ottenere il medesimo scopo in un periodo di tempo più lungo, se non osserviamo le ormai asseverate buone abitudini alimentari. Dovremmo riflettere sull’egoismo e sulla malvagità che un tale comportamento rivelano, poiché una morte precoce causata dall’intemperanza e dalla trascuratezza ci privano ai nostri cari, alla nostra chiesa e ci impediscono di far fruttare più a lungo i doni e i talenti ricevuti. L’apostolo Paolo desiderava rimanere in vita proprio per questa ragione: essere utile al popolo di Dio (Cfr. Fil. 1:23-26). La generosità e l’altruismo, nella vita e nella morte, sono segni distintivi dei veri cristiani.
In terzo luogo proprio l’intemperanza nel mangiare e il bere mostra un cuore ipocrita e pagano e rovina la nostra testimonianza cristiana. Il detto «Mangiamo e beviamo perché domani morremo» che troviamo in 1 Co. 15:32 è certamente un modo di dire “mondano e pagano”, ma, in realtà è una citazione di Isaia 22:13 che, nel suo contesto originale, riporta le parole degli abitanti di Gerusalemme che, nonostante fossero chiamati a fare cordoglio e al ravvedimento, nonostante si trovassero a dover fronteggiare una imminente catastrofe, continuavano a coltivare l’atteggiamento festaiolo e disinvolto che vediamo così tanto diffuso, anche oggi, tra i giovani amanti degli spritz e delle feste.
Ma un risveglio spirituale ha sempre un grande effetto sul comportamento delle persone in generale e su quello dei giovani in particolare. Edwards, nel racconto che fece di quanto accadde tra il 1733 e il 1735, comincia col descrivere il comportamento mondano e sconsiderato praticato dalla gioventù della città che, dopo il servizio serale della domenica, si intratteneva fino a tarda notte e praticava ogni genere di comportamento improprio e peccaminoso. In seguito, però, in risposta ad alcuni sermoni specifici sull’argomento e a una evidente opera dello Spirito Santo, scriverà:
I nostri giovani, quando s’incontrano, desiderano solo parlare dell’eccellenza dell’amore di Gesù Cristo, della gloria della via della salvezza, della meravigliosa e gratuita grazia di Dio, della sua opera gloriosa che produce la conversione dell’anima, della verità e della certezza delle cose grandi della parola di Dio, della dolcezza che c’è nel contemplare le sue perfezioni e di altre cose simili. Perfino nei matrimoni, che nel passato erano stati occasione di mera ilarità e gaiezza, adesso non si parlava d’altro se non di cose attinenti alla religione e la gioia che si ricercava era solo quella spirituale. (J. Edwards, A Faithful Narrative of the Surprising Work of God…, in Works, vol. 1, p. 348).
Quali cose meravigliose possono accadere quando si ricerca la santità in ogni aspetto della propria vita!