Il quarantesimo e il quarantunesimo proponimento di Jonathan Edwards, che egli scrisse nel gennaio del 1723, riguardano “l’esame di coscienza” che si propose di praticare regolarmente. Eccoli qui di seguito:
40. Mi propongo di esaminare ogni sera, prima di andare a letto, se ho agito nel miglior modo possibile, riguardo al mangiare e al bere (7 gennaio 1723).
41 Mi propongo di chiedermi, alla fine d’ogni giorno, settimana, mese e anno, quali cose e in quale modo avrei potuto fare meglio (11 gennaio 1723).
Il primo riguarda quello di cui abbiamo parlato la settimana scorsa: la temperanza nel mangiare e nel bere, il secondo è di più ampio respiro e riguarda una approfondita riflessione circa il proprio comportamento che è intimamente collegata al desiderio di migliorare ciò che aveva fatto e al modo in cui avrebbe potuto farlo.
La coscienza (dal latino cum scientia, che significa “conoscenza congiunta” o “coniugata”) è una facoltà peculiare dell’anima umana. È la capacità di riflettere e considerare la propria condotta e i propri sentimenti. È la capacità che ciascuno di noi possiede mediante la quale dialoghiamo con noi stessi e che – secondo quello che dice l’apostolo Paolo in Romani 2:14-15 – funge da testimone interiore che ci accusa o ci scusa.
La coscienza umana è uno strumento che funziona correttamente solo se viene usato seguendo le istruzioni del “libretto” che ci è stato fornito dal suo Creatore: la sua rivelazione speicale, la sua parola, compresa, creduta e applicata con scrupolo. Possiamo pensarla come un hardware che opera secondo le istruzioni o direttive del software corretto. Se la coscienza è istruita malamente, se è influenzata e crede ai “consigli degli empi” (Cfr. Sal. 1:1) funzionerà malamente e, anzi,diverrà una fonte d’inganno che ci spingerà verso il baratro. Ma essa può divenire anche una fonte di luce (seppur secondaria) che ci assiste nel cammino verso il cielo.
Richard Sibbes, un autore puritano, commentando 2 Corinzi 1:12 («questo è infatti il nostro vanto e la testimonianza della nostra coscienza»), definisce la coscienza come “il tribunale che Dio ha stabilito all’interno dell’uomo” descrivendo la coscienza in cinque aspetti diversi che vale la pena considerare. Egli dice che secondo la Scrittura, la coscienza:
- È un registro dove viene scritto tutto ciò che facciamo. La coscienza scrive i suoi diari riportandovi ogni cosa senza trascurare nulla… nemmeno quello che noi crediamo di avere dimenticato.
- È un testimone. “La testimonianza della coscienza”. Infatti la coscienza rende testimonianza dicendoci: «Hai fatto questo, non hai fatto quest’altro».
- È un accusatore. (Noi diremmo un pubblico ministero). La coscienza ci accusa o ci scusa.
- È un giudice. La coscienza, infatti, ci giudica dicendo se abbiamo fatto bene o male.
- È un esecutore. Dopo l’accusa e il giudizio c’è la punizione. Una coscienza colpevole fa già soffrire l’inferno in terra e, prima ancora della definitiva esecuzione del giudizio futuro, la coscienza dà ai peccatori delle anticipazioni delle pene eterne.
Edwards, che apparteneva alla tradizione teologica di Sibbes, evidentemente, non voleva sfuggire da questo tribunale affinché, mettendosi al cospetto della luce della parola di Dio e dei suoi stessi proponimenti, avesse di che chiedere perdono, aiuto, rendere grazie e per assumere nuovi propositi.
Ecco alcune regole per fare un buon “esame di coscienza”:
- Bisogna che la nostra coscienza sia adeguatamente informata e si senta legata a dei principi solidi (la legge di Dio, le nostre promesse, i nostri proponimenti). John Bunyan ci ha fornito una meravigliosa caratterizzazione della coscienza ne La guerra santa che vale la pena conoscere e studiare.
- Bisogna che essa sia interrogata onestamente, frequentemente e regolarmente. Edwards parla di “qualcosa che avrebbe fatto ogni sera” e poi “ogni settimana, mese e anno”.
- Bisogna che ci siano dei momenti in cui l’esame è più approfondito, serio e prolungato. Ovviamente l’esame di fine settimana, mese o anno sarebbe stato diverso rispetto a quello quotidiano. Gesù pregava, ma, in certe occasioni pregò più a lungo e intensamente. Ciò costituisce un modello per noi.
- Bisogna che sia ragionato e indirizzato non solo alla confessione del peccato, ma anche al miglioramento della condotta e della pratica (“quali cose” e “in quale modo” sono domande da porsi)
Anche su questo, come si suol dire, “passiamoci una mano sulla coscienza”.