«Tutti quelli che credevano stavano insieme e avevano ogni cosa in comune» Atti 2:44
Se mi fosse concesso di viaggiare nel tempo e di vivere in due epoche e luoghi diversi per un periodo limitato, una delle due scelte cadrebbe di sicuro ai primi tempi della chiesa apostolica; in quella fase in cui gli apostoli e i credenti, pur dovendo affrontare prove e difficoltà severe, si stavano organizzando, interrogandosi su come applicare alla vita della comunità del Nuovo Patto i principi appresi dal Signore Gesù Cristo e osservati nel periodo del suo ministero terreno.
Ci sono cose e pratiche che osserviamo nel libro degli Atti che sono certamente contingenti al periodo di “transizione” e della “fase organizzativa” della chiesa e, quindi, non normative o, comunque, difficilmente ripetibili , ma ci sono dei principi che costituiscono l’ossatura stessa e le fondamenta della vita della comunità cristiana di ogni tempo.
Uno di questi è il desiderio, la necessità, l’utilità, il dovere e il profitto della koinonia, della “comunione fraterna”, ovvero dello “stare insieme” e del “condividere” ciò che si possiede.
In un mondo e in un tempo in cui le persone sono sempre più isolate le une dalle altre e nelle particolari circostanze determinate dalla pandemia che sta affliggendo il mondo, questa realtà diviene ancora più evidente e agisce come una sorta di spartiacque aiutandoci a discernere e a discriminare se nel nostro cuore c’è o meno il medesimo Spirito che ha reso i primi cristiani: discepoli, fratelli, famiglia, popolo, chiesa.
Stare insieme… con quali persone ci uniamo? Con quali amiamo intrattenerci? Con quali abbiamo in comune interessi, desideri, speranze, fiducia, affetti, progetti? Di quali persone sentiamo la mancanza se le perdiamo di vista, se ci sono strappate via o se ci è impedito di incontrarle per lungo tempo e se, per determinate circostanze, siamo oggettivamente limitati nel frequentarle? Cerchiamo di discernere le ragioni che determinano questa “nostalgia” ed esaminiamoci a questo livello per sapere cosa conta davvero per noi.
E poi: cosa abbiamo o mettiamo in comune con gli altri? Quello che non ci serve (utilizzando la “comunità” come una discarica? Quello che ci è superfluo (vivendo in modo individualistico ed egoistico)? La parte che consideriamo di minor valore (giusto quanto basta per ottenere la stima del prossimo e impressionare altri uomini)? Oppure, come fecero questi primi credenti: “ogni cosa” come: tempo, forze, intelligenza, risorse economiche? Ogni cosa significa tutto! Significa non considerare più mio e proprio ed esclusivo un bene (materiale o immateriale) che è a mia disposizione ma che può mancare a un’altra persona. Significa interessarsi sinceramente al prossimo pensando a come si possa essere utili piuttosto che a quale vantaggio si possa trarre da esso.
Ecco in cosa consiste un cristianesimo vissuto esperienzialmente, ecco cosa significa possedere “una fede operante”, ecco cosa significa “appartenere a una chiesa”. Niente di meno di questo.
Anche a questo livello bisogna esaminarsi e, se necessario, ravvedersi, confessare il proprio peccato di egoismo e assumere nuovi propositi e risoluzioni.