«Quando i fratelli l’ebbero letta, si rallegrarono della consolazione che essa portava loro.» Atti 15:31.
Di quale consolazione si parla qui? Di quella che ottennero i credenti delle giovani chiese cristiane alla lettura delle determinazioni della conferenza tenuta a Gerusalemme che aveva dovuto discutere e risolvere un nodo essenziale per la fede cristiana. Quello che avrebbe fatto di essa una sorta di “aggiunta” alla religione mosaica o il suo pieno adempimento e, quindi, la sua trasformazione. Quel convegno, sul quale lo Spirito Santo appose il suo sigillo, doveva stabilire se, per essere salvati, fosse indispensabile essere, oltre che credenti in Cristo, anche osservanti della legge mosaica in tutte le sue richieste.
La risposta fu: «No!». Si stabilì, una volta per sempre, che la “sola fede” giustifica il peccatore e che le leggi cerimoniali, quelle che avevano una grande forza nel dare un’identità alla nazione giudaica, dovevano essere abbandonate. Il giogo del “fai questo e vivrai”, insopportabile per qualunque uomo, era stato spezzato. I credenti in Cristo erano entrati nella libertà dei figli di Dio.
La libertà cristiana, però, non è indisciplina e non è nemmeno immoralità né amoralità (quelle sono schiavitù perfino peggiori del legalismo giudaico), perché la legge morale viene scritta nel cuore dallo Spirito Santo a chi ha parte al nuovo patto.
La ragione della risoluta e ferma opposizione del rifiuto della circoncisione come atto necessario per la salvezza dei cristiani (così chiaramente espresso nell’epistola ai Galati) è che essa introduce al piano inclinato del legalismo, e il legalismo cristiano è un “fardello ancora più pesante” di quello giudaico che imprigiona la coscienza risvegliata nella paura e la spinge verso la disperazione.
Ma la libertà cristiana è una grande consolazione da custodire come un bene prezioso. “Cristo ci ha liberati affinché fossimo liberi”. Siccome la libertà è un dono divino, i cristiani la amano e sono disposti a tutto per preservarla, infatti il testo continua: «State dunque saldi e non vi lasciate porre di nuovo sotto il giogo della schiavitù» (Galati 5:1).
In questi giorni di quarantena in cui siamo fortemente limitati nelle nostre libertà personali, anche noi cristiani soffriamo come e forse anche di più di tutti gli altri. Tuttavia, i timori maggiori riguardano i tempi e i modi in cui ci saranno restituite la libertà di fare una passeggiata o una corsa al parco (o in bicicletta!), quella di potere usare le nostre proprietà (come una seconda casa al mare o in campagna) e, finalmente, di tornare a riunirci nelle nostre chiese e in occasioni conviviali. E, ancor di più, ci chiediamo come si dovrà reagire se la situazione attuale produrrà una compressione prolungata delle stesse libertà, in nome di un legittimo benessere superiore e comune.
Tanti si preoccupano per quelli che potrebbero essere gli effetti a medio e lungo termine dell’attuale stato di cose, ed è giusto che anche i credenti di fede cristiana evangelica, che nel nostro Paese sono “minoranza nella minoranza”, si interroghino e rispondano coerentemente ai principi scritturali.
Ieri ho ricevuto da persone diverse il link a un video in cui un giornalista esprime e circostanzia – a suo modo – questa preoccupazione. Ciò che mi ha colpito maggiormente sono due fatti: il primo è l’eterogeneità delle persone che si sono preoccupate di selezionare il mio numero di telefono per passarmi il link (una credente, un politico, dei compagni di pedalate, un no-vax) e il secondo il fatto che, alla fine dello stesso video, un gran numero di altri giornalisti, intellettuali, scrittori, scienziati e altri personaggi più o meno noti, dà sostegno e appoggio alle preoccupazioni espresse circa la possibilità dell’instaurazione di un “pensiero unico” e di una “manipolazione collettiva” allo scopo di piegare tutti i “non illuminati” al volere e agli interessi di pochi. Se costoro hanno ragione, non saremmo lontani dall’adempimento delle profezie orwelliane contenute nel suo celebre romanzo 1984. Parlo di profezie orwelliane e non “apocalittiche” perché ciò che preoccupa queste persone è la politica e non la fede.
Si tratta di una preoccupazione legittima, ma credo che i cristiani devono avere una posizione diversa.
Fratelli, credo che sia evidente che stiamo vivendo “giorni apocalittici”. La globalizzazione della paura, il ruolo estremamente pervasivo della politica che detta l’agenda e determina il modo in cui dobbiamo vivere, comprare, vendere, lavorare e perfino pregare. Le piaghe dell’epidemia e della recessione economica, la paura del sorgere dell’uomo forte che controlla tutto. Queste cose non possono lasciarci indifferenti e non possiamo rinchiuderci nelle nostre camerette di preghiera chiudendo l’uscio, come al solito, quasi che nulla di insolito stesse accadendo.
Sì, stiamo vivendo in “tempi apocalittici” e questi tempi avranno un forte effetto anche sui cristiani e, in particolare, su quei cristiani che, almeno in Italia, non sono tutelati da leggi speciali (come il concordato o le intese). È quindi necessario unire le proprie forze non solo per pregare, ma anche – e spero che chi è in autorità questo lo capisca – per sollecitare la discussione e il definitivo varo di una legge quadro sulla libertà religiosa. Dopo l’unità in preghiera sollecitata dall’Alleanza Evangelica Italiana e condivisa da vari altri ambienti evangelici fino a ora rimasti un po’ defilati, è necessario levare una sola voce affinché anche nel nostro Paese sia garantita definitivamente la libertà di tutti di esercitare la propria fede secondo coscienza.
Ma, detto questo, e rimanendo in preghiera e agendo appropriatamente affinché questo possa accadadere, quali dovrebbero essere le maggiori preoccupazioni dei cristiani?
Il libro dell’Apocalisse, come anche il discorso di Gesù nell’oliveto, ci sono stati dati per la nostra consolazione, per il sostegno della nostra fede e per confermarci nella ferma risoluzione ad essere fedeli mentre tutto ci crolla intorno. Questa consolazione è la stessa che ci ha liberato dal peso della colpa e della condanna della legge e del peccato, mediante la fede in Cristo.
Questa consolazione è quella che possono conoscere e provare solo coloro che non fanno nessun conto della loro vita come se fosse loro preziosa pur di condurre a termine la loro corsa e il servizio affidato loro dal Signore Gesù, cioè di testimoniare del vangelo della grazia di Dio (Cfr. Atti 20:24).
Se capisco bene, il senso del discorso profetico di Gesù e del contenuto del libro dell’Apocalisse, è che dobbiamo essere vigilanti e in guardia non per opporci politicamente al progresso della dittatura, non per divenire ambientalisti radicali per fermare “quelli che devastano la Terra”, non per evitare di essere colpiti dalle persecuzioni o dai flagelli che si abbattono nel mondo, ma per essere fedeli a Cristo come i due testimoni di Apocalisse 11, annunciando coraggiosamente la verità del Vangelo della misericordia e del giudizio di Dio, pregando ed essendo disposti a morire in attesa della risurrezione.
Questi sono gli atti politici che la chiesa cristiana è chiamata a compiere.
A chi m’interroga circa la vocazione della chiesa in tempi di prova come quello che stiamo vivendo, la mia risposta è: «La stessa di sempre. Quella che deve guidare la vita di ogni cristiano e di ogni comunità confessante: la lotta contro il peccato residuo e il male al suo interno e la testimonianza coraggiosa e profetica nei confronti del mondo». La vocazione primaria dei cristiani è quella della proclamazione e della difesa del Vangelo della grazia gratuita e immeritata e non quella della difesa dei diritti civili o dei temi ecologici al fianco di persone empie, atee o religiosamente ipocrite.
La chiesa deve temere Dio, non i complotti umani.
Se ci lasciassimo trascinare in questa sollecitudine diventeremmo “un’eco del mondo”. Proprio come ha detto Francis Schaeffer più di cinquant’anni nell’ancora attualissimo libro Morte nella città.
Il cristiano autentico non ha nel proprio programma la conquista politica del mondo (sarebbe scegliere ancora una volta Barabba). La preoccupazione primaria del vero credente non è quella di scampare la pelle in ogni circostanza (finirebbe col rinnegare Cristo come fece Pietro). E se qualcuno professa la fede in Cristo solo perché aspira al benessere dell’affluenza e della pace personali (benedizioni di cui la gran parte di noi occidentali hanno goduto fino a oggi e che potrebbero esserci tolte in qualunque momento) costui è degno di essere annoverato tra i più miserabili tra gli uomini.
La vocazione cristiana è alla santità e al martirio. Saremo perfettamente santi quando saremo fedeli testimoni (o “martiri”).
Per favore, non dimenticatelo!