«Quanto ai Gebusei che abitavano in Gerusalemme, i figli di Giuda non riuscirono a scacciarli; e i Gebusei hanno abitato con i figli di Giuda in Gerusalemme fino a oggi.» Giosuè 15:63
Chi è al passo con la lettura del piano annuale che stiamo seguendo, oggi si ritroverà a leggere i capitoli 15 e 16 del libro di Giosuè.
Il capitolo 15 riporta i luoghi del territorio toccato alla tribù di Giuda e alcune delle circostanze che portarono alla loro conquista. È uno di quei capitoli nel quale, spesso, ci si perde tra nomi e informazioni ridondanti e che appaiono “poco edificanti”.
In effetti non dovrebbe essere così. Dovremmo piuttosto rallegrarci perché è uno di quei capitoli che celebrano e certificano la fedeltà di Dio. Egli fece come aveva promesso e diede al suo popolo città da abitare.
Ma c’è, in questo capitolo, un versetto in particolare che attira la mia attenzione. Probabilmente perché appare dissonante con il resto del racconto. Si tratta del v. 63 dove non viene riportata una vittoria ma una sconfitta o, per lo meno, l’impossibilità di una conquista.
Ci si chiede: perché i figli di Giuda non riuscirono a scacciare i Gebusei? Non poteva il Signore trattare la città di Gebus come aveva trattato Gerico? Un tale elenco di vittorie e di città conquistate non costituisce una prova sufficiente a favore della illimitata potenza divina di attuare tutta la sua volontà?
Gebus non cadde e i Gebusei rimasero al suo interno perché Dio volle così! Questa è l’unica risposta possibile.
Non c’è difetto nella potenza di Dio, ma ci sono dei misteri nella sua volontà che, per poco o per molto tempo non ci è dato di conoscere.
Nella conquista di Canaan, così come nella prosecuzione dell’opera della redenzione e del compimento della nostra santificazione ci sono nemici che vengono sconfitti subito e altri che resistono più a lungo e per i quali dobbiamo lottare, pregare e pazientare molto, prima di vederli cadere ai nostri piedi per essere stritolati da Cristo sotto di essi.
A questo proposito sono due le cose che dobbiamo ricordare:
La prima è che la loro permanenza e la loro vicinanza non muta la loro natura. Nemici sono e nemici devono rimanere. Il tempo e la consuetudine non cambiano la natura delle cose. Non possono esserci alleanze né può esserci alcuna tolleranza nei confronti del male. Bisogna riconoscere, isolare e combattere tutti i peccati, qualunque atto di disubbidienza e ogni pensiero che si eleva contro la conoscenza di Cristo. La definitiva “esecuzione” di essi è un’opera congiunta dello Spirito Santo e delle nostre stesse mani (Cfr. Romani 8:13) che deve compiersi con impegno e, come si dice, “senza alcuna pietà”. Come ha detto Gesù, anche a costo di dolorose mutilazioni (Matteo 5:29-30).
La seconda è che, come in ogni guerra, bisogna avere pazienza e sapere attendere l’occasione e il tempo opportuno per sferrare l’attacco definitivo. Gebus non cadde al tempo di Giosuè, ma capitolò per mano dell’esercito di Davide e divenne “la città di Davide” ( Cfr. 2 Samuele 5:6-9). Il Figlio di Davide, il Signore Gesù Cristo, è colui che ci condurrà all’interno della “città forte” e quelle debolezze che più volte ci hanno fatto rammaricare, piangere e pregare possono divenire la più lampante testimonianza della fedeltà e della potenza di Dio. Sarà così fino a quando la nostra anima redenta non abiterà in un corpo risuscitato.
Ricordiamoci di tutto ciò in questi giorni di quarantena, in tempi in cui siamo “combattuti da fuori” e siamo assaliti dai “timori di dentro” (2 Corinzi 7:5).
Dio è fedele. Il nostro presente e il nostro futuro sono nelle sue mani ed egli interverrà a suo tempo.
“Or il Dio di ogni grazia, che vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, dopo che avrete sofferto per breve tempo, vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, vi fortificherà stabilmente. A lui sia la potenza, nei secoli dei secoli. Amen (1 Pietro 5:10-11).