L’articolo di Jeremy Walker che ho pubblicato ieri sera è un ottimo esempio di cosa significa “pensare in modo biblico”, ovvero analizzare criticamente i fatti e “filtrarli” attraverso la griglia di una solida ed equilibrata teologia sistematica.
Se, a questo punto, qualcuno dicesse che “pensare in modo biblico è un’attività da filosofi o da teologi”, mi fraintenderebbe.
La teologia sistematica a cui mi riferisco è quella che tutti possiamo imparare da un buon catechismo (Riformato, ovviamente: quello di Heidelberg o il Catechismo “minore” di Westminster sono adatti a tutti) ed è un’impresa che potrebbe essere ardua solo per chi è colpito da una seria disabilità intellettiva (ammesso che vi siano dei genitori che s’impegnino a istruire i figli e delle chiese che valutino l’importanza della catechesi sistematica).
L’apostolo Paolo esortò i Filippesi a pensare solo a cose che rientrino nelle categorie di quelle che, alla luce della Scrittura possano giudicarsi come: vere, onorevoli, giuste, pure, amabili, di buona fama, degne di qualche virtù e lode» (Cfr. Filippesi 4:8). Ciò esclude sistemi di pensiero anticristiani e quelli che il salmista definisce come “consigli degli empi” (Salmi 1:1).
Ma, nel nostro tempo, il problema risiede ancora più a fondo. La gente, infatti, è stata disabituata a pensare e la grande ostilità manifestata nei confronti di tutto ciò che è “ideologico” giunge al pratico rifiuto dell’impegno nei confronti del “piano ragionamento”, del paziente ascolto delle argomentazioni e della risposta rispettosa e appropriata mediante altri argomenti validamente fondati e sostenuti logicamente.
È quindi necessario ribadire che la qualità di una persona e il suo valore non può superare la qualità e il valore di ciò a cui essa pensa. Infatti, ciò che meditiamo in modo consapevole e ordinato forma il nostro carattere ed è la spinta propulsiva delle nostre azioni.
Guardiamo, per esempio a Isaia 32:8 «L’uomo nobile forma nobili disegni; egli s’impegna per cose nobili”. Qui la catena valori -> pensieri -> azioni è evidende.
Allo stesso modo, Isaia 55:7 «Lasci l’empio la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri», c’insegna che l’empietà e l’iniquità delle azioni sono determinate da pensieri della stessa natura.
Perciò: se pensieri iniqui e ignobili sono all’origine di ogni empietà e ingiustizia, allo stesso modo, la santità e la purezza delle azioni dei cristiani derivano sempre da una mente disciplinata e attivamente impegnata nel meditare e riflettere continuamente ed esclusivamente su cose eccellenti e gradite a Dio.
Quindi, il testo di Filippesi 4:8 insegna che la devozione e la pietà autentiche descritte nei versetti precedenti (gioia, mansuetudine, preghiera, gratitudine) non s’identificano con gli atti esteriori del moralismo cristiano, ma che originano da un sano e disciplinato modo di pensare!
“L’oggetto delle meditazioni e delle azioni dei credenti sono il frutto maturo dell’albero della salvezza che ha il suo tronco nella fede e che è radicato nel suolo della grazia sovrana e salvifica di Dio.” (W. Hendriksen).
È quindi necessario che impariamo (e che insegniamo) ad usare l’intelletto e che ciascuno di noi conosca la fatica di tale esercizio!
Pensare correttamente, infatti, è una delle attività più faticose e difficili nelle quali possiamo impegnarci. È necessario raccogliere tanto materiale, saper discernere quello buono da quello scadente, ordinarlo e riorganizzarlo, elaborare una sintesi, mettere alla prova i nostri risultati e poi validarli confrontandoli con coloro che prima di noi e insieme a noi hanno riflettuto sulle medesime questioni. Questo è un processo diuturno, soggetto a revisioni, aggiustamenti e ripensamenti ma, se ben fondato, che ci permetterà di crescere nella conoscenza e nella santità.
Dov’è che tutto questo può avvenire?
Le tre istituzioni che naturalmente e storicamente sono state fabbriche e laboratorio di pensiero: la famiglia, la chiesa e la scuola, oggi sono in grande crisi e decadenza e, a parte qualche enclave felice, ormai non formano le menti più giovani all’arte del pensare.
Ora: la famiglia dove nascere non è in nostro potere sceglierla; per quanto riguarda la scuola pubblica, bisogna essere “fortunati” (mi si perdoni l’uso del termine niente affatto cristiano) a capitare nel posto giusto e nella classe giusta con gli insegnanti giusti; ma per quanto riguarda la chiesa, le cose stanno diversamente!
Scegliere la chiesa alla quale unirci, grazie a Dio, almeno in Italia, rientra (ancora) nel campo dei nostri diritti e, in molti casi (anche se non sempre, purtroppo) delle nostre possibilità. Quindi, chiunque voglia “imparare a pensare” ha il dovere di mettersi alla ricerca di una chiesa locale dove vi sia un solido fondamento teologico, che costituisca una scuola di pensiero sano e ordinato e dove si ricerchi e si pratichi la santità di una condotta in cui l’amore verso Dio e il prossimo stiano al centro.
Chi lo farà?