«Ma, ecco, se vado a oriente, egli non c’è; se a occidente non lo trovo; se a settentrione, quando vi opera, io non lo vedo; si nasconde egli a sud, io non lo scorgo. Ma la via che io batto egli la conosce; se mi mettesse alla prova, ne uscirei come l’oro.» (Giobbe 23:8-10)
La fede di Giobbe non era fondata sulle informazioni ottenute dalle proprie facoltà sensoriali. Egli è consapevole che Dio non può essere visto, né scorto, né trovato, né fisicamente osservato e “misurato” nemmeno se si percorresse tutta la terra in lungo e in largo. Egli non abita in templi fatti dalla mano dell’uomo.
Dio non si vede, non si tocca, non si sente, non si odora e non si gusta mediante i sensi del nostro corpo, ma questo non significa che egli non possa essere conosciuto! Non significa di certo che egli non esista, perché se dovessimo ammettere l’esistenza soltanto delle cose che sono percepibili dai nostri sensi, ci ritroveremmo in un universo fisico infinitamente più piccolo e saremmo costretti a negare molte evidenze.
Si, Giobbe dichiara di non essere in grado di vedere Dio ma, con la stessa franchezza, afferma di essere certo che Dio vede lui, che il Signore conosce la via che egli batte e che i proponimenti divini a suo riguardo sono buoni e giusti (se mi mettesse alla prova… non sarei distrutto, ma purificato).
Questa è la fede. Essa vede l’invisibile.
Ciò che conta non è il fatto che io veda Dio, quanto quello che egli vede me! È in questa conoscenza che noi troviamo, quotidianamente la forza per vivere nell’ubbidienza e il senso della nostra esistenza.
Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto! (Gv. 20:29).